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L'AVVOCATO VENEZIANO 443

Lelio. (È un giovane generoso e civile). (da sè)

Alberto. Cossa disela, siora Rosaura? Siora Beatrice m’ha sbancà.

Rosaura. E voi domani sbancherete me.

Alberto. (No la me lassa star un momento). (da sè)

SCENA X.

Florindo e detti.

Florindo. Servitor umilissimo a lor signori. (tutti lo salutano) (Il signor Alberto vicino a Rosaura? Cresce il mio sospetto). (da sè)

Beatrice. Molto tardi, signor Florindo!

Florindo. Mah, chi ha degli interessi, non può prendersi molto divertimento.

Beatrice. Il signor Alberto ci ha favorito.

Florindo. Il signor Alberto può farlo, perchè non ci pensa come ci penso io.

Alberto. Signor Florindo, ella in pubblico pretende mortificarme, e mi in pubblico bisogna che me defenda. La dise che mi no penso ai so interessi, come la pensa ela; e mi ghe digo che ghe penso assae più de ela, perchè un’ora che mi ghe pensa, val più del so pensar d’una settimana. Ghe ne xe molti de sti clienti, che pretende che l’avvocato non abbia da pensar altro che alla so causa. I crede che l’intelletto dell’omo sia limità a segno che nol possa pensar che a una cossa sola. E siccome la so passion no fa che tegnirli oppressi e vincoladi tra la speranza, el timor, i vorria che l’avvocato no fasse mai altro che consolarli. Nualtri che avemo una moltitudine de affari sul tavolin, bisogna che a tutti distribuimo el nostro tempo e el nostro intelletto; e se qualche volta no respiressimo con un poco de sollievo e de devertimento, la nostra profession deventerave un supplizio, e la nostra applicazion sarave una malattia. Basta che quando s’applica a quella tal cossa, se ghe applica de cuor, con tutto el spirito, con tutto l’omo; e che nella gran zornada, quando se tratta della decision della causa, se fazza cognosser al cliente, al giudice e al mondo tutto, che messe su una balanza´