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442 ATTO PRIMO

Alberto. Chi lo mette, val un tesoro.

Rosaura. Se fosse vero, non le sareste nemico.

Alberto. Oh! me xe casca le carte. Ho perso, bisogna che paga. Ecco do felippi e do lire. (si lascia cader le carte di mano e paga le due donne)

Beatrice. Siete un tagliatore adorabile.

Rosaura. Questa sera tagliate in mio favore, e domani taglierete contro di me.

Alberto. S’hala gnancora sfogà?

Rosaura. Stassera mi sfogo io, e domani vi sfogherete voi.

Alberto. (Debotto1 non posso più resister). (da sè, smanioso)

Conte. E così, che facciamo? Ho da perdere il mio denaro con questo bel gusto?

Alberto. Se no la vol zogar, nissun la sforza.

Conte. Voglio giuocare. Animo, presto. Fante a un zecchino.

Alberto. Vorla missiar?

Conte. Se volessi mescolare, mescolerei; tagliate.

Alberto. Ela xe tutto furia, e mi tutto flemma. Via, zentildonne, che le metta.

Beatrice. Che cosa abbiamo da mettere?

Alberto. Che le metta al banco.

Beatrice. L’oro mi fa paura.

Alberto. Tirerò via l’oro. Lasso sto zecchin per el sior Conte.

Beatrice. Asso al banco. (Alberto taglia)

Alberto. Fante: ho venzo mi. Sto zecchin farà compagnia a st’altro. Mettemoli qua, sotto sto candelier.2 Asso ha vadagnà, son sbancà, no se zoga più. (Beatrice tira il banco)

Conte. I miei due zecchini?

Alberto. Me despiase, ma mi non taggio altro.

Conte. Bell’azione!

Beatrice. Via, via, signor Conte, un poco di convenienza.

Conte. (Si scalda, perchè va bene per lei3). (da sè)

  1. Debotto, or ora. [nota originale]
  2. Pone li due zecchini sotto al candeliere. [nota originale]
  3. Bett. e Pap.: perchè li mangia lei.