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L'AVVOCATO VENEZIANO 441

Alberto. Son qua subito. Asso, do e fante. (taglia) Fante ha vadagnà, ecco un zecchin. Do ha vadagnà, ecco tre lire. Asso vadagna, ecco un felippo.

Conte. Mescolate le carte.

Alberto. Come la comanda. (mescola le carte)

Conte. Lasciate vedere, le voglio mescolare anch’io.

Alberto. Patron, la se comoda. (Bisogna ch’el sia avvezzo a zogar con dei farabutti). (a Beatrice)

Beatrice. (È un conte che conta poco).

Alberto. (Elo conte, contin o contadin?)

Conte. Tenete. Fante a due zecchini. (dà le carte ad Alberto)

Beatrice. Asso a due filippi.

Lelio. Due a cinque lire.

Alberto. E ela no la mette?

Rosaura. Io non giuoco con chi sa perdere e vincere quando vuole.

Beatrice. Eh via, mettete.

Rosaura. Quattro a due lire.

Alberto. No la cresce la posta?

Rosaura. Non posso giuocar di più.

Alberto. Perchè?

Rosaura. Perchè domani in grazia vostra sarò miserabile.

Conte. Oh, che giuocare arrabbiato! Non la finisce mai. (Alberto taglia)

Alberto. Subito. Fante ha perso. Con so bona grazia. (tira i due zecchini)

Conte. Maledetta mano; non dà una seconda.

Alberto. El gh’ha rason. Xe quattro o cinque ore che zoghemo. (con ironia)

Conte. Va fante.

Alberto. No va altro, no va altro. Do, tiro. (tira le cinque lire di Lelio)

Beatrice. Questa volta tirate tutto.

Alberto. Magari che tirasse tutto! (guardando Rosaura)

Rosaura. Che cosa guadagnereste di buono?

Alberto. Vadagnerave el ponto, e chi lo mette.

Rosaura. Il punto val poco, e chi lo mette val meno.´