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436 | ATTO PRIMO |
Rosaura. Che mi comanda, signor Conte? Vuol che gli canti una canzonetta?
Conte. (Impertinente! Quando sarai mia moglie, le sconterai tutte). (da sè)
Alberto. (Chi elo quel signor? ) (a Lelio)
Lelio. (È il conte Ottavio, quello che deve esser sposo della signora Rosaura).
Alberto. (Caro amigo, non me dovevi mai menar qua).
Lelio. (Se mi parlavate chiaro, non vi conduceva).
Beatrice. Signor Lelio, come sta la signora Flaminia vostra sorella?
Lelio. Sta un poco meglio. Il sangue le ha fatto bene.
Beatrice. Domattina voglio venire a vederla.
Lelio. Le farete una finezza particolare.
Beatrice. (Volete venire ancora voi?) (piano a Rosaura)
Rosaura. (Dove abita il signor Alberto?)
Beatrice. (Sì).
Rosaura. (Oh dio! non so).
Beatrice. Signor avvocato.
Alberto. La comandi.
Beatrice. Conosce questa signora?
Alberto. Me par de averla vista e rivenda qualche volta, ma non ho l’onor de conosserla precisamente.
Beatrice. Questa è la signora Rosaura Balanzoni, di lei avversaria.
Alberto. (Salza) Cara zentildonna, me rincresce infinitamente trovarme in necessità de doverghe esser avversario; ma la se consola, che avendome avversario mi, el xe un capo d’avvantaggio per ela, perchè la mia insufficienza darà mazor risalto al merito delle so rason.
Rosaura. La ringrazio infinitamente per sì gentile espressione, ma il mio scarso merito e la mia causa disavvantaggiosa non meritavano un difensore sì degno. (Non so quel ch’io mi dica). (da sè)
Alberto. (La m’ha coppà). (a Lelio, e siede)
Beatrice. Domani dunque si tratterà questa causa?
Alberto. La corre per doman.´