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430 | ATTO PRIMO |
Beatrice. Mi avete fatto un onor singolare. Spero avremo una buona conversazione. Favorite; accomodatevi. Signor Dottore, s’accomodi. (Rosaura siede)
Dottore. Se la mi dà licenza, bisogna ch’io vada per un affare indispensabile. Ho accompagnata mia nipote, peraltro io non posso restare a godere delle sue grazie.
Beatrice. Mi dispiace infinitamente. Ma quando si è spicciato, torni, non ci privi della sua conversazione.
Dottore. Tornerò più presto ch’io potrò. La ringrazio della bontà ch’ella dimostra per un suo buon servitore.
Beatrice. Anzi mio padrone. Dica, signor Dottore, speriamo bene circa la causa della signora Rosaura?
Dottore. Spererei che dovesse andar bene.
Beatrice. La di lei virtù può tutto promettere.
Dottore. Farò certamente tutto quello che io potrò.
Beatrice. E poi l’amore che ella ha per la nipote, maggiormente l’impegnerà a porvi tutto lo studio.
Dottore. È verissimo, l’amo1 teneramente. Ella è figlia d’un mio fratello. Sono venuto a posta da Bologna, ed ho abbandonato i miei interessi, con tanto pregiudizio del mio studio, per venire ad assistere questa buona ragazza.
Beatrice. Veramente la signora Rosaura lo merita.
Dottore. Orsù, signora Beatrice, a rivederla e riverirla2.
Beatrice. Serva sua.
Rosaura. Torni presto, signor zio.
Dottore. Sì, tornerò presto; vado ad operare per voi; vado a portare al Giudice la mia scrittura d’allegazione. Voglio dare una toccatina sul punto della donazione, per sentire come egli la intende; per poter questa notte trovar dell’altre ragioni, dell’altre dottrine, se non bastassero quelle che ho ritrovate sinora. Perchè sogliamo dire noi altri dottori: Multa colleda prohant, quae singulatim non probant. (parte)´