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428 | ATTO PRIMO |
Colombina. Tu non pensi che a mangiare, ed a me tocca quasi sempre far quello che dovresti far tu.
Arlecchino. Cara Colombina, son omo da poderte refar; se ti ti te sfadighi la mia parte, mi magnerò la toa.
Colombina. Orsù, ora non è tempo di barzellette. Bisogna mettere in ordine questi tavolini e queste sedie, e preparare le carte, perchè, come sai, questa sera vi sarà conversazione.
Arlecchino. Alla conversazion cossa fai delle carte?
Colombina. Oh bella! giuocano, e giuocano di grosso. Sono tutti amici quelli che vengono in questa casa, ma vorrebbero potersi spogliare l’uno con l’altro.
Arlecchino. La saria bella che i spoiasse la padrona, e che la restasse in camisa.
Colombina. Oh! non vi è pericolo; la padrona non perde mai. O per fortuna, o per convenienza, o per complimento, se vince, tira, se perde, non paga.
Arlecchino. In sta maniera vorria zogar anca mi.
Colombina. Ma questo privilegio è solo per le donne. Gli uomini perdono a rotta di collo. Ne ho veduti parecchi in questa casa rovinarsi. Vengono a conversazione, e vi trovano la malora; vengono allegri, e partono disperati.
Arlecchino. Ho sentì anca mi qualche volta a bestemmiar...
Colombina. Ecco la padrona. Presto le sedie. (s’affrettano nell'accomodar quanto occorre)
SCENA V.
Beatrice e detti.
Beatrice. E quando la finirete? Tanto vi vuole ad accomodare quattro sedie?
Arlecchino. Colombina no la fenisse mai.
Colombina. Se non fossi io! Costui non è buono a nulla. Questa sedia qui. (regolando una sedia posta da Arlecchino)
Arlecchino. Siora no, la va qua. (la scompone)
Colombina. Non va bene. La voglio qui. 1
- ↑ (la rimette dove era)