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418 ATTO PRIMO

Lelio. Vi piace dunque?

Alberto. Le cose belle le piase a tutti.

Lelio. Giuoco io, che più volentieri del signor Florindo, difendereste la signora Rosaura.

Alberto. Ve dirò: rispetto al piaser de trattar el cliente, siguro che tratteria più volentiera siora Rosaura del sior Florindo; ma rispetto al merito della causa, defendo più volentiera chi ha più rason.

Lelio. Povera giovane! Se perde questa causa, resta miserabile affatto.

Alberto. Confesso el vero, che la me fa peccà1. La gh’ha un’idea cussì dolce, un viso cussì ben fatto, una maniera cussì gentil, un certo patetico, missià2 con un poco de furbetto, che xe giusto quel carattere che me pol.

Lelio. Volete vedere il suo ritratto?

Alberto. Lo vederia volentiera.

Lelio. Eccolo. Il pittore mio amico ne ha fatto uno per il conte Ottavio, che deve essere suo sposo; io ho desiderato d’averne una copia, ed egli mi ha compiaciuto. (gli fa vedere il ritratto in un picciolo rame)

Alberto. L’è bello; el someggia3 assae; l’è ben desegnà; i colori no i pol esser più vivi. Vardè quei occhi; vardè quella bocca; el xe un ritratto che parla; amigo, ve ne priveressi?

Lelio. Se lo volete, siete padrone.

Alberto. Me fè una finezza, che l’aggradisso infinitamente.

Lelio. Ma parliamoci schietto. Non vorrei che foste innamorato della vostra avversaria.

Alberto. La me piase, ma non son innamorà.

Lelio. E avrete cuore di sostenere una causa contro una bella ragazza che vi piace?

Alberto. Perchè? Paderia anca contra de mi medesimo, quando lo richiedesse el ponto d’onor.´

  1. Mi move a compassione. [nota originale]
  2. Mescolato.
  3. Zatta: el ghe someggia.