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416 | ATTO PRIMO |
Alberto. Caro amigo, se me volè ben, lasseme studiar; sta causa la me preme infinitamente.
Lelio. Sono otto giorni che non si fa altro che parlare di questa causa. Un uomo del vostro sapere e del vostro spirito dovrebbe a quest’ora essern pienamente in possesso.
Alberto. (S'alza) Ve dirò, sior Lelio, le cause de conseguenza no le se studia mai abbastanza. Quando se tratta de un ponto de rason1, bisogna sempre, per chiaro che el sia, dubitar dell’esito; bisogna preveder i obbietti dell’avversario, armarse a difesa e a offesa; e un avvocato, che ha per massima el ponto d’onor, no se contenta mai de se stesso; e veglia, e suda per assicurar l’interesse del so cliente, per metter l’animo in quiete, e per autenticar el zelo del proprio decoro.
Lelio. Sono massime da par vostro, e non ho che dire in contrario. Solo bramerei che, dopo l’applicazione, mi donaste il contento di godere la vostra amenissima conversazione. So che siete ancor voi di buon gusto, e alle occasioni ho sperimentato in Venezia e sulla Brenta2 la prontezza del vostro spirito, lepido, ameno e saviamente giocoso.
Alberto. Sì, caro amigo; son anca mi omo de mondo; me piase l’allegria; co ghe son, ghe stago, e ai so tempi no me retiro. Ma adesso son a Rovigo per trattar una causa, e no per star in villeggiatura. Vu se stà quello che per un atto de bona amicizia m’ave procurà sta causa; vu avè indotto e persuaso sior Florindo a valersene della mia debole attività in una causa de tanto rimarco, e lu, fidandose della vostra amicizia, non ostante che in sta città de Rovigo ghe sia soggetti degni e capaci, el m’ha fatto vegnir mi da Venezia a posta, e la so confidanza xe tutta riposta in mi. Xe necessario non solo che applica alla causa con assiduità, ma che me contegna in tel paese con serietà, per accreditar la mia persona nell’animo del Giudice, che xe un capo essenzialissimo, che onora l’avvocato e che favorisse el cliente.