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umana della commedia. Sbiadite invece, e solo interessanti per la storia del costume settecentesco, le figure dei cicisbei che per troppo affaccendarsi ritardano al terz’atto la soluzione.

Nella quale una volta tanto il commediografo non volle indulgere al vieto pregiudizio del lieto fine. Nè lagrime di resipiscenza, nè baci d’affetto repentino. Liti tra suocera e nuora, quando le due donne rispondano alla natura di Isabella e Doralice, non si compongono. Parlando della traduzione francese di questo lavoro, opera di M. Collet, segretario dell’Infante di Parma, il Goldoni scrive: «... il crut que la pièce finissoit mal, laissant partir la belle - mere et la belle - fille brouillèes, et il les raccommoda sur la scene. Si ce raccommodement pouvoit être solide, il auroit bien fait; mais qui peut assurer que le lendemain ces deux dames acariàtres n’eussent pas renouvellè leurs disputes? Je puis me tromper, mais je crois que mon dénouement est d’après nature» (Mèm. P. II, cap. VIIIMemorie di Carlo Goldoni).

Dalla chiusa, certo ardita per quei giorni, tolse il Chiari pretesto a criticare aspramente la commedia: «Le commedie dei nostri giorni paiono tutte fatte sul maraviglioso modello che ce ne dà un moderno Accademico in quella sua Filippica, dove il periodo di tempo, che alle medesime assegna, viene ad essere d’anni 5750. Di fatto nulla meno che tanto durar potria una commedia in cui s’introducano suocera e nuora inviperite, implacabili, indiavolate alla fine dell’atto terzo, come lo erano sul cominciarsi del primo, se l’ingegnoso Poeta stabilite non avesse delle regole nuove nuovissime spettanti all’integrità della favola, e direttamente contrarie a quanto scrisse Aristotile; veder facendo coll’esempio suo che, per finire una commedia, non è più necessario sviluppare e conchiuder la favola; ma che basta cavar due risate; e lasciando le cose imbrogliate peggio di prima, a suon di zufolo calar il sipario» (Lettere scelte di varie materie ecc. Venezia, 1752, III, p. 158).

Son le censure cui risponde, breve ma arguto, il Goldoni, nell’Autore a chi legge. Nell’edizione Paperini (IV, p. 82, 83), accennava anche in nota a una lettera del Chiari, dove questi l’assicura d’aver scritto il suo libro con perfetta innocenza.

Come la traduzione francese del Collet, che non risulta sia a stampa (la promise e non la diede il Journal encylopédique. Cfr. Febbr. 1 757, Tomo I, p. 130), finiva con la pace tra suocera e nuora anche una versione polacca, eseguita a Leopoli il 24 l’1824 (Mnemosyne. Galizisches Ab. bl. f. geb. Leser, 1 824, n. 43) che pare inedita anch’essa. Era forse fatta dietro qualche traduzione tedesca come spesso accadde per il Nostro nella Slavia. E in Germania le traduzioni della Famiglia dell’antiquario non mancano. Prima per valore letterario, e fortunata anche per copia di ristampe, quella di Carlo Federico Kretschmann (1738-1809), poeta di buona fama, imitatore di Klopstock nelle sue Canzoni de’ bardi (Die Familie des Antiquitätenkrämers. Ediz.: 767, 1 786, 1787, 1792), eseguita sulla prima lezione dell’originale. Imitazione libera dell’Antiquario è Die unerwartete Zusammenkunft oder der Naturaliensammler (L’incontro inaspettato o il naturalista raccoglitore) di C. F. Weisse (1728-1804), che del Goldoni scrisse e altro ancora imitò. Ma la Famiglia dell’antiquario era stata recitata già nel 1754 in veste tedesca a Vienna, tradotta dall’attore Defraine (Repertoire des Thèàtres de la Ville de Vienne,