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Più sicuro cammino batte forse il Vederi (op. cit.) cercando l’originale onde il Goldoni copiò il suo antiquario in quell’Antonio de’ Capitani, raccoglitore Mantovano, del quale il Casanova lasciò questa gustosa descrizione (Mémoires, Bruxelles, 1881, voi. II, pag. 59 segg.): «Les raretes de son cabinet consistaient dans la genealogie de sa famille, dans des livres de magie, reliques de saints, monnaies soi-disant antédiluviennes, dans un modele de l’arche pris d’après nature au moment ou Noé aborda dans le plus singulier de tous les ports, le mont Ararat en Arménie; dans plusieurs medailles, dont une de Sésostris, une autre de Sémiramis...» Forestieri che capitassero a Mantova, scrive il Casanova, non potevano dispensarsi da una visita a queste meraviglie. Avrà fatto il dover suo anche il Goldoni per trarne poi, come voleva il suo ingegno, felicissimo partito. Ma abbia egli esemplato il suo antiquario sul Capitani o su altri, i modelli in quel torno abbondavano. E quanto più ingenui i collettori, tanto più sfacciati e più numerosi gli impostori. Nella sua propria famiglia lo stesso Casanova ebbe il fratello Giovanni, che spacciò al Winckelmann per quadri antichi due tele sue, e reca esempi d’altre truffe e d’altri truffatori il famoso avventuriere nelle sue Memorie. Con il solito meraviglioso spirito d’osservazione, il Goldoni aveva visto giusto e la satira giungeva opportuna. Satira o caricatura? Il disegno della figura sembra un po’ grossolano e l’episodio della truffa caricato così da far ridere il buon popolo, meglio che i buongustai. Ma l’esperienza della vita consiglia prudenza estrema nel tacciare d’inverisimiglianza l’artista che la ritrae sulla scena. Si noti a buon conto che ancora nel 1867 un discendente di Brighella e d’Arlecchino vendeva — non più in commedia — a Michele Chasles per la somma di 147.000 franchi 27.000 autografi, tra i quali figuravano i nomi di Cleopatra, Alessandro Magno, Attila, Lazzaro risorto e Ponzio Pilato (Budan, L’amatore d’autografi, Milano, 1900, pag. 42 segg.)!

Al conte Anselmo, antiquario ingenuo e padre di famiglia indolente, il Goldoni con felice antitesi oppone la simpatica figura di Pantalone, tutto senno, tutta bontà. Ebbe una sola debolezza il vecchio Bisognosi: l’ambizione d’imparentarsi con gente d’altra classe. E dal matrimonio disuguale tra la figliuola del mercante veneziano col contino Giacinto ecco sorgere i dissensi tra la suocera, più che mai fiera del suo grado, e la nuora, non men superba della sua dote, che aveva salvato da certa rovina la comitale famiglia! Dissensi che totale mancanza di nobiltà d’animo nelle due femmine rende via via più aspri, più incresciosi. Anzi un episodio, tolto poi dalla lezione definitiva del lavoro, dava alle controversie tra suocera e nuora un carattere ripugnante addirittura. Per un orologio, regalo di Pantalone a Doralice, la contessa insinua — neanche in buona fede — nel suo figliolo il sospetto d’infedeltà a carico della nuora, dicendolo dono d’un cicisbeo. Ma il Goldoni uomo, venuto a più miti consigli col Goldoni autore, tolse poi la nota eccessivamente antipatica.

Per il valore civile del teatro goldoniano questo matrimonio disuguale, frutto di bassi interessi e di piccine ambizioni, ha un significato che sarebbe ingiusto menorare, come fa chi nega qui intenzione di satira (Schneegans, in Litteraturblatt f. germ. u. rem. Philologie, 1902, n. 8-9; Schmidbauer, Das Komische bei Goldoni, München, 1906, pagg. 89, 90). Satira forte e pungente in verità, abbozzata con vigoroso brio, e oggi ancora la parte più viva e più