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388 ATTO TERZO

Dottore. La nostra è amicizia vecchia.

Pantalone. Giusto per questo la s’averia da fenir.

Dottore. La finirò; anderò via e non ci tornerò più; ma vorrei sapere per che causa con una sì bella frase si licenzia di casa un galantuomo della mia sorta.

Pantalone. Co nol savè, ve lo dirò mi, sior. Perchè vualtri che volè far i ganimedi, no sè boni da altro che da segondar i mattezzi1.

Dottore. Ho secondato la signora contessa Isabella, perchè, quando si ha della stima per una persona, non le si può contraddire. Vado via, signora Contessa.

Isabella. L’ho sempre detto che siete un dottore senza spirito e senza dottrina.

Dottore. Sentono, miei signori? Dopo che ho l’onore di servirla, queste sono le finezze che ho sempre avute. (parte)

Pantalone. Andemo avanti coi capitoli. Quinto, che ste due signore suocera e nuora, per maggiormente conservar la pace fra loro, abbiano d’abitare in due diversi appartamenti, una di sopra ed una di sotto.

Isabella. Quello di sopra lo voglio io.

Doralice. Io prenderò quello di sotto, che farò meno scale.

Pantalone. Sentiu? Le se scomenza a accordar. Sesto, che si licenzi di casa Colombina.

Isabella. Sì, sì, licenziarla.

Doralice. Sì, mandarla via.

Pantalone. Anca qua le xe d’accordo. Via, me consolo; da brave, alla presenza dei so maridi, che le se abbrazza, che le se basa in segno de pase.

Isabella. Oh! questo poi no.

Doralice. Non sarà mai vero.

Pantalone. Via, quella che sarà la prima a abbrazzar e basar quell’altra, la gh’averà sto anello de diamanti. (mostra un anello)

Isabella e Doralice. (Tutte due s’alzano un poco in atto di andar ad abbracciar l’altra, poi si pentono e tornano a sedere.)

  1. Bett., Pap. ecc. aggiungono: delle povere donne.