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386 ATTO TERZO

Pantalone. La compatissa, se vegno a darghe un poco d’incomodo.

Isabella. Vostra figlia ha poco giudizio.

Pantalone. Adessadesso la sarà qua anca ela.

Isabella. Ella qui? Come1 c’entra nelle mie camere?

Anselmo. Deve venire per un affar d’importanza.

Isabella. E non vi è altro luogo che questo?

Pantalone. Avemo fatto per no incomodarla ela fora della so camera.

Isabella. La riceverò come merita.

Pantalone. La la riceva come che la vol, che n’importa.

SCENA ULTIMA.

Doralice, Giacinto, il Cavaliere del Bosco e detti.

Cavaliere. Servitor umilissimo di lor signori2.

Anselmo. Sediamo, sediamo. (tutti siedono)

Doralice. Si può sapere per che cosa mi avete condotta qui? (a Giacinto)

Giacinto. Or ora lo saprete.

Anselmo. Moglie mia carissima, nuora mia dilettissima, sappiate ch’io non sono più capo di casa.

Isabella. Già si sa, quest’impiccio ha da toccare a me.

Anselmo. Non dubitate, l’impiccio non tocca a voi. Il signor Pantalone ha assunto l’impegno di regolare la nostra casa. Mio figlio ed io abbiamo cedute a lui tutte le nostre azioni e ragioni, e abbiamo sottoscritto alcuni capitoli, che ora anche voi sentirete.

Isabella. Questo è un torto che fate a me.

Doralice. In quanto a questo poi, in mancanza del capo di casa, tocca a me.

Isabella. Io sono la padrona principale.

Dottore. Brava!3

Pantalone. Orsù, un poco de silenzio. Mi lezerò i capitoli della

  1. Bett.: cosa.
  2. Le edd. Bett, Pap. ecc. aggiungono: «Isab. Che ne dite? ha sempre il Cavaliere al fianco, al Dottore».
  3. L’ed. Bett. aggiunge: «Dor. Io ho liberate l’entrate colla mia dote. Cav. È vero, è vero».