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382 | ATTO TERZO |
pol dar! Come che el se mette anca elo in riga de protettor! E mia fia col cavalier che la serve? E quel matto de mio zenero lo comporta? Questi xe i motivi delle discordie de sta fameggia. Donne capricciose; marii senza cervello; serventi per casa. Bisogna per forza che tutto vaga a roverso. (parte)
SCENA VII1.
Altra camera del conte Anselmo.
Il conte Anselmo, poi il contino Giacinto.
Anselmo. Se avessi atteso solamente alle medaglie e ai cammei, non mi sarebbe successo quello che mi è successo. Maledetto Brighella! Mi ha rovinato.
Giacinto. Brighella non si trova più; egli è partito di Palermo, e non si sa per qual parte.
Anselmo. Pazienza! Mi ha rovinato.
Giacinto. Ah! signor padre, siamo rovinati tutti. Dei ventimila scudi non ve ne sono più. Alla raccolta vi è tempo. E per mangiare ci converrà far dei debiti.
Anselmo. Se lo dico; Brighella mi ha rovinato.
Giacinto. E per condimento delle nostre felicità, abbiamo una moglie per uno, che formano una bella pariglia.
Anselmo. Io non ci penso più.
Giacinto. E chi ci ha da pensare?
Anselmo. Oh! non ci penso più. M’hanno fatto impazzire tanto che basta.
SCENA VIII2.
Pantalone e detti.
Pantalone. Con so bona grazia.
Anselmo. (Eccolo qui il mio tormento). (da sè)
Pantalone. Sior Conte, sior zenero, i me compatissa, se vegno