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376 ATTO TERZO

Dottore. Eccola.

Isabella. Temeraria! Ha tanto ardire di venirmi davanti gli occhi? Il sangue mi bolle. Non la voglio vedere. Venite con me. (entra nel suo appartamento)

Dottore. Vengo. Ho paura che non facciamo niente.

Doralice. (Entra, e il Cavaliere corre dal suo appartamento) Vedete! Io vengo per parlare con lei ed ella mi fugge.

Cavaliere. Giacchè siete tanto discreta e ragionevole, mi date licenza che, salve tutte le vostre convenienze, tratti l’aggiustamento con vostra suocera?

Doralice. Sì, mi farete piacere.

Cavaliere. Volete rimettervi in me?

Doralice. Vi do ampia facoltà di far tutto.

Cavaliere. Mi date parola?

Doralice. Ve la do, con patto però che l’aggiustamento sia fatto a modo mio.

Cavaliere. Prescrivetemi le condizioni.

Doralice. Una delle due, o che io debba essere la padrona in questa casa, senza che la suocera se ne abbia da ingerire punto, ne poco; o ch’io voglio la mia dote e tornarmene in casa di mio padre.

Cavaliere. Troveremo qualche temperamento.

Doralice. Sì, via, trovate de’ mezzi termini, de’ buoni temperamenti; ma ricordatevi che non voglio restare al disotto una punta di spilla. (va nel suo appartamento)

Cavaliere. Oh, questo è un grande imbarazzo! Ma ecco il Dottore. Sentiamo che cosa dice della contessa Isabella.

Dottore. (Esce dall’appartamento d’Isabella) Signor Cavaliere, ha parlato colla signora Doralice?

Cavaliere. Signor sì, ho parlato ed ho facoltà di trattare.

Dottore. Io pure ho l’istessa facoltà da quest’altra.

Cavaliere. Dunque trattiamo. Vi faccio a prima giunta un progetto alternativo. O la signora Doralice vuol esser anch’ella padrona in questa casa, o vuole la sua dote e se n’anderà con suo padre.