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LA FAMIGLIA DELL'ANTIQUARIO | 373 |
Arlecchino. Grazie della so carità... (in atto di partire)
Anselmo. Maledetto! ti accopperò. (vuol seguirlo)
Arlecchino. No me cuccara, no me cuccara. (correndo parte)
SCENA V.
Il conte Anselmo e Pantalone.
Pantalone. Cossa disela, sior Conte? Brighella xelo un galantomo?
Anselmo. È un briccone, è un traditore.
Pantalone. Cossa vorla far de sti mobili?
Anselmo. Non saprei... lasciamoli qui, serviranno per accrescere la galleria.
Pantalone. Ah, donca la vol seguitar a tegnir galleria?
Anselmo. Ma che cosa vorreste ch’io facessi, senza questo divertimento?
Pantalone. Vorria che l’abbadasse alla so fameggia. Vorria che se giustasse ste differenze tra niora e madonna.
Anselmo. Bene, aggiustiamole.
Pantalone. Se ghe vorla metter de cuor?
Anselmo. Mi ci metterò con tutto lo spirito.
Pantalone. Se la farà cussì, no mancherò de assisterla dove che poderè. Me preme mia fia, no gh’ho altri al mondo che ela. La vorave veder quieta e contenta; se se pol, ben; se no, sala cossa che farò? La torrò suso e la menerò a casa mia.
Anselmo. Signor Pantalone, preme anche a me la mia pace. Voglio che ci mettiamo in quest’affare con tutto lo spirito.
Pantalone. La me consola; me vien tanto de cuor.
Anselmo. Caro amico, giacchè avete dell’amore per me, fatemi una finezza.
Pantalone. Comandela qualcossa? Son a servirla.
Anselmo. Prestatemi otto o dieci zecchini, che poi, ricuperando quei di Brighella, ve li renderò.
Pantalone. La toga e la se serva.
Anselmo. Ve li renderò.