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370 | ATTO TERZO |
Pancrazio. Prima di tutto, crede ella ch’io sia un uomo d’onore?
Anselmo. Vi tengo per un uomo illibatissimo, come siete e come vi decanta tutta Palermo.
Pancrazio. Crede ch’io abbia cognizione di queste cose?
Anselmo. Dopo di me, non vi è nessuno meglio di voi.
Pancrazio. Quanto ha pagato tutta questa roba?
Anselmo. Sentite, ma in confidenza, che nessuno lo sappia; l’ho avuta a un prezzo bassissimo1. Per tremila scudi.
Pancrazio. Signor Conte, in confidenza, che nessuno ci senta; questa è roba che non vale tremila soldi.
Anselmo. Come non vale tremila soldi?
Pantalone. (Bella da galantomo!) (da sè)
Anselmo. L’avete bene osservata?
Pancrazio. Ho veduto quanto basta per assicurarmi di ciò.
Anselmo. Ma i crostacei?
Pancrazio. Sono ostriche trovate nell’immondizie, o gettate dal mare quando è in burrasca.
Pantalone. Trovae sui monti del poco giudizio.
Anselmo. E i pesci petrificatì?
Pancrazio. Sono sassi un poco lavorati collo scarpello, per ingannare chi crede.
Pantalone. Ghe sarà anca petrificà e indurio el cervello de qualche antiquario.
Anselmo. E le mummie?
Pancrazio. Sono cadaveri di piccoli cani, e di gatti, e di sorci sventrati e seccati.
Anselmo. Ma il basilisco?
Pancrazio. È un pesce marino che i ciarlatani sogliono accomodare in figura di basilisco, e se ne servono per trattenere i contadini in piazza, quando vogliono vendere il loro balsamo.
Anselmo. Signor Pancrazio, voi m’uccidete, voi mi cavate il cuore. E i quadri, le pitture, le miniature?
- ↑ Bett.: a un prezzo disfatto.