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368 | ATTO TERZO |
Anselmo. Questo sarebbe per la galleria d’un monarca.
Brighella. El numero III° l’è una cassa con una raccolta de mummie d’Aleppo; tutte de animali uno differente dall’altro, fra i quali gh’è un basilisco.
Anselmo. V’è anche il basilisco?
Brighella. E come! L’è grando come un quaggiotto.
Anselmo. Si sa da dove l’abbiano portato?
Brighella. Se sa tutto. L’è nato da un uovo de gallo.
Anselmo. Sì, sì, ho inteso dire che i galli dopo tanti anni fanno un uovo, da cui nasce poi il basilisco. L’ho sempre creduta una favola.
Brighella. No l’è favola, e là drento gh’è la prova della verità.
Anselmo. Brighella, ti sono obbligato. M’hai fatto fare dei preziosi acquisti.
Brighella. Son un omo fatto a posta per sti negozi; gnancora no la me cognosse intieramente; fra poco la me cognosserà meggio. (Ma el me cognosserà in tempo che m’averò messo in salvo mi e sti bezzi che gh’ho cuccà). (da sè, parte)
SCENA II.
Il conte Anselmo, poi Pantalone.
Anselmo. Io ho qui da divertirmi per due o tre mesi. Fino che non ho posto in ordine tutta questa roba, non vado in campagna, non vado in conversazioni, non vado nemmeno fuori di casa. Mi farò portar qui da mangiare. Mi voglio far portar qui un lettino da campagna e dormir qui; così non avrò lo stordimento di quella fastidiosissima mia consorte. Non voglio nessuno, non voglio nessuno.
Pantalone. Sior Conte, se pol vegnir? (di dentro)
Anselmo. Non voglio nessuno.
Pantalone. La senta, ghe xe sior Pancrazio, quel famoso antiquario, (di dentro)
Anselmo. Oh! venga, venga, è padrone. Capperi! Ha saputo che ho fatta questa bella spesa e subito corre.