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364 | ATTO SECONDO |
Cavaliere. (Quella parola le fa paura).
Pantalone. Cossa disela, sior Conte? No se pol miga andar avanti.
Anselmo. Orsù, la finirò io. Signore mie... Ma prima che mi scordi, questo cammeo si potrebbe avere?
Pantalone. El xe de mia fia, la ghe domanda a ela.
Anselmo. Mi volete vendere questo cammeo? (a Doralice)
Doralice. Venderlo? mi maraviglio. Se ne serva, è padrone.
Anselmo. Me lo donate?
Doralice. Se si degna.
Anselmo. Vi ringrazio, la mia cara nuora, vi ringrazio1. Lo staccherò, e vi renderò l’orologio.
Isabella. Via, ora che la vostra dilettissima signora nuora vi ha fatto quel bel regalo, pronunziate la sentenza in di lei favore.
Anselmo. A proposito. Ora, già che ci siamo, bisogna terminare questa faccenda. Signore mie, in casa mia non vi è la pace, e mancando questa, manca la miglior cosa del mondo. Sinora ho mostrato di non curarmene, per stare a vedere sin dove giungevano i vostri opposti capricci; ora non posso più, e pensandovi seriamente, ho deliberato di porvi rimedio. Ho piacere che si trovino presenti questi signori, i quali saranno giudici delle vostre ragioni e delle mie deliberazioni. Principiamo dunque...
SCENA XX.
Brighella e detti.
Brighella. Sior padron. (al conte Anselmo)
Anselmo. Che c’è?
Brighella. El negozio è fatto, la galleria è nostra, e gh’ho qua l’inventario.
Anselmo. Con licenza di lor signori. (s’alza)
- ↑ Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «Isab. Ringraziate chi gliel’ha donato. Pant. Chi ghe l’ha dà, son stà mi. Isab. Eh, sappiamo tutto, sappiamo tutto. Pant. Cossa sala? la diga, cossa sala? Dor. Oh, ne sentirete di belle. Ans. Orsù, sia chi esser si voglia che l’abbia dato, non me ne importa. Il cammeo mi piace, me lo ha donato, e la ringrazio. Lo staccherò e vi renderò l ’orologio».