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360 ATTO SECONDO

SCENA XVIII.

La contessa Isabella col Dottore, che le dà mano, e detti.


Anselmo. Benvenuti, benvenuti.

Dottore. Fo riverenza al signor Conte.

Pantalone. Siora Contessa, ghe son umilissimo servitor.

Isabella. La riverisco.

Pantalone. (La ghe diga qualcossa. Femo pulito). (piano al Conte)

Anselmo. (Orsù, giacchè ci siamo, bisogna fare uno sforzo). (da se) Contessa mia, vi ho fatto qui venire per un affar d’importanza; in poche parole mi sbrigo. In casa mia voglio la pace. Se qualche cosa è passata fra voi e vostra nuora, s’ha da obliare il tutto. Voglio che ora vi pacifichiate, e che alla mia presenza torniate come il primo giorno che Doralice è venuta in casa. Avete inteso? Voglio che si faccia così. (alterato)

Isabella. Voglio?

Anselmo. Signora sì, voglio. Questa parola la dico una volta l’anno; ma quando la dico, la sostengo. (come sopra)

Isabella. E volete dunque...

Anselmo. Quello ch’io voglio, l’avete inteso. Non vi è bisogno di repliche.

Isabella. Io dubito sia diventato pazzo: non ha mai più parlato così1.

Anselmo. (Che dite? Mi sono portato bene?) (a Pantalone)

Pantalone. Benissimo.

Anselmo. (Ho fatto una fatica terribile).

SCENA XIX.

Doralice, il Cavaliere2 del Bosco, Giacinto e detti.

Pantalone3. (Cossa gh’intra quel sior co mia fia?) (ad Anselmo)

Anselmo. (Non ve l’ho detto? Il suo consigliere).

  1. Nelle edd. Bett., Pap. ecc. ci sono invece le seguenti parole: «Isab. (So che qualche volta è una bestia, non cogito imitarlo), da sè.»
  2. Bettin., Pap. ecc.: Doralice servita dal Cavalier ecc.
  3. Nelle edizioni Bett., Paper, ecc. precedono queste parole: «Isab. (Eccola coll’amico), a Giac.»