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IL PADRE DI FAMIGLIA 27

SCENA VI.

Trastullo e detto.

Trastullo. Illustrissimo.

Pancrazio. Zitto con questo Illustrissimo, non mi state a lustrare, che non voglio.

Trastullo. La mi perdoni, sono avvezzo a parlar così, e mi pare di mancare al mio debito, se non lo fo.

Pancrazio. Avrete servito de’ conti e de’ marchesi, e per questo sarete assuefatto a lustrare. Ma io son mercante, e non voglio titoli.

Trastullo. Ho servito delle persone titolate, ma ho servito ancora gente che sta a bottega, fra i quali un pizzicagnolo e un macellaro.

Pancrazio. E a questi davate dell’Illustrissimo?

Trastullo. Sicuro; particolarmente le feste, sempre Illustrissimo.

Pancrazio. Oh, questa veramente è graziosa! Ed essi si bevevano il titolo senza difficoltà, eh?

Trastullo. E come! Il pizzicagnolo particolarmente, dopo aver fatto addottorare un suo figlio, gli pareva di esser diventato un gran signore.

Pancrazio. Se tanto si gonfiava il padre, figuratevi il figlio!

Trastullo. L’illustrissimo signor dottore? Consideri! In casa si faceva il pane ordinario, ma per lui bianco e fresco ogni mattina. Per la famiglia si cucinava carne di manzo e qualche volta un capponcello: per lui v’era sempre un piccion grosso, una beccaccia o una quaglia. Quando egli parlava, il padre, la madre, i fratelli, tutti stavano ad ascoltarlo a bocca aperta. Quando volevano autenticar qualche fatto o sostener qualche ragione, dicevano: L’ha detto il dottore, il dottore l’ha detto, e tanto basta. Io sentiva dire dalla gente che l’illustrissimo signor dottore ne sapeva pochino, ma però ha speso bene i suoi denari, perchè coll’occasione della laurea dottorale son diventati illustrissimi anco il padre e la madre, e se io stava con loro un poco più, diventava illustrissimo ancora io.

Pancrazio. Io vado all’antica, e non mi curo di titoli superlativi.