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LA FAMIGLIA DELL'ANTIQUARIO | 331 |
Doralice. Vi ringrazio, signor padre, vi ringrazio. Vi assicuro che non avrete a dolervi di me. Un’altra cosa mi avreste a regalare, e poi non vi disturbo mai più.
Pantalone. Cossa vorressi, via, cossa vorressi?
Doralice. Quell’orologio. Voi ne avete altri due.
Pantalone. Voi contentarve anche in questo. Tiolè. (No gh’ho altro che sta putta). (da sè) Ma ve torno a dir, abbiè giudizio e feve voler ben. (le dà il suo orologio d’oro)
Doralice. Non dubitate; sentirete come mi conterrò.
Pantalone. Via, cara fia, dame un puoco de consolazion. No gh’ho altri a sto mondo che ti. Dopo la mia morte, ti sarà parona de tutto. Tutte le mie strussie1, tutte le mie fadighe le ho fatte per ti. Co te vedo, me consolo. Co so che ti sta ben, vegno tanto fatto2, e co sento criori3, pettegolezzi, me casca el cuor, me vien la morte, pianzo co fa un puttello. (piangendo parte)
SCENA XX.
Doralice, poi Brighella.
Dottore. Povero padre, è molto buono. Non somiglia a queste bestie, che sono qui in casa. Se non fosse per mio marito, non ci starei un momento.
Brighella. Signora, gh’è qua un cavalier che ghe vorave far visita.
Doralice. Un cavaliere? Chi è?
Brighella. Il signor Cavalier del Bosco.
Doralice. Mi dispiace che sono così in confidenza. Venga, non so che dire. Ehi, sentite.
Brighella. La comandi.
Doralice. Andate subito da un mercante, e ditegli che mi porti tre o quattro pezze di drappo con oro o argento, per farmi un abito.
Brighella. La sarà servida. Ma la perdona, lo salo el padron?