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330 | ATTO PRIMO |
ben. Sè muggier de un Conte, sè deventada Contessa, ma el titolo no basta per farve portar respetto, quando no ve acquistè l’amor della zente colla dolcezza e colla umiltà. Sè stada una povera putta, perchè, co sè nassua, no gh’aveva i capitali che gh’ho in ancuo1, e col tempo e coll’industria i ho multiplicai più per vu, che per mi. Considerè che poderessi esser ancora una miserabile, se vostro pare no avesse fatto quel che l’ha fatto per vu. Ringraziè el cielo del ben che gh’avè. Portè respetto ai vostri maggiori; siè umile, siè paziente, siè bona, e allora sarè nobile, sarè ricca, sarè respettada.
Doralice. Signor padre, vi ringrazio dell’amorosa correzione che mi fate.
Pantalone. Vostra madonna2 sarà in tutte le furie, e con rason.
Doralice. Non so ancora se lo abbia saputo.
Pantalone. Procurè che no la lo sappia. E se mai la lo avesse savesto, recordeve de far el vostro debito.
Doralice. Qual è questo mio debito?
Pantalone. Ande da vostra madonna e domandeghe scusa.
Dottore. Domandarle scusa poi non mi par cosa da mia pari.
Pantalone. No la ve par cossa da par vostro? Cossa seu vu? Chi seu? Seu qualche principessa? Povera sporca! Via, via; sè matta la vostra parte.
Doralice. Non andate in collera. Le domanderò scusa. Ma voglio assolutamente che mi faccia quest’abito.
Pantalone. Adesso, dopo la strambaria che avè fatto, no xe tempo da domandarghelo.
Doralice. Dunque starò senza? Dunque non anderò in nessun luogo? Sia maladetto quando sono venuta in questa casa.
Pantalone. Via, vipera, via, subito maledir.
Dottore. Ma se mi veggio trattata peggio di una serva.
Pantalone. Orsù, vegnì qua; per sta volta vôi remediar mi sti desordini. Tolè sti cinquanta zecchini; feve el vostro bisogno; ma recordeve ben che no senta mai più rechiami dei fatti vostri.