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318 ATTO PRIMO

Giacinto. Ma tutti sanno che Doralice è mia moglie; gli amici verranno a visitarla; alcune dame me l’hanno fatto sapere.

Isabella. Chi vuol venire in questa casa, ha da mandare a me l’ambasciata. Io sono la padrona; e chiunque ardirà venirci senza la mia intelligenza, ritroverà la porta serrata.

Giacinto. Via, si farà tutto quello che voi volete. Ma anche ella1, poverina, bisogna contentarla. Bisogna farle un abito.

Isabella. Per contentar lei, niente affatto; ma per te, perchè ti voglio bene, lo faremo. Di che cosa lo vuoi? Di baracane o di cambellotto?

Giacinto. Diavolo! vi pare che questa sia roba da dama?

Isabella. Colei non è nata dama.

Giacinto. È mia moglie.

Isabella. Ebbene, di che vorresti che si facesse?

Giacinto. D’un drappo moderno con oro o con argento.

Isabella. Sei pazzo?2 Non si gettano i danari in questa maniera.

Giacinto. Ma finalmente mi pare di poterlo pretendere.

Isabella. Che cos’è questo pretendere? Questa parola non l’hai più detta a tua madre. Ecco i frutti delle belle lezioni della tua sposa. Fraschetta, fraschetta!

Giacinto. Ma che ha da fare quella povera donna in questa casa?

Isabella. Mangiare, bere, lavorare e allevare i figliuoli, quando ne avrà.

Giacinto. Così non può durare.

Isabella. O così, o peggio.

Giacinto. Signora madre, un poco più di carità.

Isabella. Signor figliuolo, un poco più di giudizio.

Giacinto. Fatele quest’abito, se mi volete bene.

Isabella. Prendi, ecco sei zecchini, pensa tu a farglielo3.

Giacinto. Sei zecchini? Fatelo alla vostra serva. (parte)

  1. Bett., Pap.: lei.
  2. Bett.: Sei pazzo? Sei pazzo?
  3. Bett.: e fagli l’abito