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LA FAMIGLIA DELL'ANTIQUARIO | 309 |
Isabella. Animo vile! Così vi lasciate contaminar dal denaro? mi vergogno di essere vostra moglie.
Anselmo. Quanto sarebbe stato meglio, che voi ancora mi aveste portato in casa meno grandezze e più denari.
Isabella. Orsù, non entriamo in ragazzate. Ho bisogno di un abito.
Anselmo. Benissimo. Farlo.
Isabella. Per la casa abbisognano cento cose.
Anselmo. Orsù, tenete. Questi, con i cento zecchini che vi ho dato, sono quattrocento zecchini. Fate quel che bisogna per voi, per la casa, per la sposa. Io non me ne voglio impacciare. Lasciatemi in pace, se potete. Ma ehi! questi denari sono della mercantessa.
Isabella. Lo fate apposta per farmi arrabbiare.
Anselmo. Senza di lei la faremmo magra.
Isabella. In grazia delle vostre medaglie.
Anselmo. In grazia della vostra albagia.
Isabella. Io son chi sono.
Anselmo. Ma senza questi non si fa niente. (accenna i denari)
Isabella. Avvertite bene, che Doralice non venga nelle mie camere.
Anselmo. Chi? Vostra nuora?
Isabella. Mia nuora, mia nuora, giacchè il diavolo vuol così, (parte)
SCENA IV.
Il conte Anselmo solo.
È pazza, è pazza la poverina. Prevedo che fra suocera e nuora vi voglia essere il solito divertimento. Ma io non ci voglio pensare. Voglio attendere alle mie medaglie, e se si vogliono rompere il capo, lo facciano, che non m’importa. Non posso saziarmi di rimirare questo Pescennio! E questa tazza di diaspro orientale, non è un tesoro? Io credo senz’altro sia quella in cui Cleopatra stemprò la perla alla famosa cena di Marcantonio.