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ridisce» all’idea di chiedere due scudi al servente «per non morir di fame» e poi «quel giorno medesimo che recata le viene la funesta novella d’esserle morto il marito, gli salta colle braccia al collo», non osserva «l’egualità» del carattere. Ma allor che uscirono tali critiche, condite d’insolenze, nel t. III delle Lettere scelte (Ven., Pasinelli, 1752, pp. 126, 128, 147, 148, 150), Goldoni non perdette il buon umore (lett. al Bettinelli dei 2 maggio ’52), come non aveva tremato, quemdo sul teatro di S. Samuele il rivale contrappose a Eleonora una sua Moglie saggia (cfr. R. Bratti, «La moglie s.» dell’ab. Chiari, estr. dall’Ateneo Ven., genn.-febbr. 1908).

Alcuni anni più tardi, un altro alunno di Talia, il march. Albergati, in una lettera al Voltaire dei 30 giugno ’60, più volte ristampata, chiamava questa una delle «migliori» commedie goldoniane, mostrando d’approvare la «verità dell’azione e dei caratteri» e il coraggio della pittura sociale, che «suscitò» contro l’autore «i primi nemici» di Bologna (premessa alla Pamela maritata, ediz. Pasquali, I, 1761; e Masi, La vita ecc. di Fr. Alberg., Bol., 1888, p. 139).

Ed ecco un saggio di critica della prima metà dell’Ottocento: «Nel Cav. e la D. apre il suggetto con bella industria: senza mostrare di volerne gli aspettatori istruire, appieno gli istruisce. I subalterni attori maneggiati assai bene: il piacevole carattere di Balestra e l’insofferibile di Claudia sono al naturale. Il dialogo e vibrato, vivace, rapido, unito, consola, ricrea: dipinto il costume, esatta e precisa la moralità, acre la satira, dolce e caro il ridicolo. Zoppica poi in molti di quei difetti che in generale notammo; e ne ha di particolari: cioè che tiene i servi a conversazione co’ padroni, e chiedono di partire; che Anselmo manda alla povera e vergognosa Eleonora con pubblicità caffè, candellieri ecc.: il che la verecondia offende; che dessa appena rimasa vedova sposa Rodrigo; e che lo scioglimento e poco felice, malgrado che mostra di aver sudato per riuscirne». (Dom. Gavi, Della vita di C. G. ecc., Milano, Stella, 1826, pp. 153-4).

Invero, a dispetto di Aristotele e dell’ab. Chiari, la commedia aveva ben presto passato le Alpi, e trovò immensa fortuna, specialmente in Germania; basti sapere che fu perfino tradotta in portoghese, in danese, in ungherese (Spinelli, Bibl.ia gold., 252; Maddalena, C. Gold., Trieste, 1908, pp. 25 e 28). Risalì di quando in quando sulle scene italiane: come a Torino, per far vendetta dell’antico insuccesso, recitata dalla Marchionni nel 1823 (Costetti, La Comp.ia Reale Sarda, Milano, 1893) e dal Romaagnoli nel ’26 (I Teatri, giorn. dramm.o, P. 1.a).

Nei tempi più recenti il Cav. e la D. fu oggetto di speciale considerazione da parte degli studiosi. Ernesto Masi, nel 1897, lo credette degno di far parte di una breve Scelta di commedie goldoniane (Firenze, Le Monnier, t. I): sia perchè uno dei primi saggi della riforma teatrale, sia perchè attesta l’ardimento della «satira contro i nobili», sia perchè specchio di costumi, quattordici anni avanti il Mattino di G. Parini. Ciò dimostra il Masi nell’introduzione: nelle note poi loda il Goldoni per aver preceduto Diderot, ponendo in iscena condizioni, oltre che caratteri; chiama «veri capilavori» le scene XV e XVI dell’A. II, «come quadro di genere, analisi di caratteri, rappresentazione di costumi e artificio comico»; ma trova che nel III A., dalla sc. XII