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NOTA STORICA

Del Cavaliere e la Dama e della sua fortuna si trovano i cenni più importanti nella seconda parte dei Mémoires, c. 4 (dove è da notare qualche inesattezza nel riassunto della favola) e nelle premesse alla commedia. Contemporaneo al Padre di famiglia (v. lett. al Bettinelli), appartiene al secondo anno della riforma, ma fu recitato dapprima a Verona nella state del ’49 (v. edd. Paperini e Pasquali); poi a Venezia per quindici sere, probabilmente da S. Caterina (25 nov.) fino al termine della stagione autunnale dei teatri (15 dic).

Le liete accoglienze si ripeterono nella primavera e nell’estate del ’50 a Mantova e a Milano, ma invece a Torino, nella primavera del ’51, la commedia non piacque, come ci informa un po’ sorpreso l’autore nella lettera di dedica della Famiglia dell’antiquario (v. anche lett. all’Arconati dei 30 apr. ’51 ).

Vero è che Goldoni, almeno nei primi anni della riforma, tenne fra le sue predilette creazioni questa «che superò le altre tutte in aver applauso, e nella quale veramente aveva posto più studio e più fatica» (pref. generale all’ed. Bettinelli, t. I, 1750; cfr. Sonetto recit. l’ultima sera del carn. ’50: Malamani, in Ateneo Ven., a C. G., Ven., 1907, pag. 32); e però con piacere dovette leggere nel n. 34 delle Novelle della Repubblica Letteraria per l’anno 1751 (Ven., Occhi): «Sopra tutto raccomandiamo al Librajo (Bettinelli) la pubblicazione delle due Commedie che furono in Venezia accolte con tanto applauso degli uomini dotti, cioè l’Avvocato e il Cavaliere e la Dama».

Ricorda l’autore nei Mémoires non so quale anonimo libello che criticava la risposta di don Rodrigo alla sfida di don Flaminio, perchè contraria alle leggi della cavalleria. Audace era stato il riformatore veneziano, ma correvano ormai tempi poco favorevoli ai puntigli cavallereschi, e contro il duello si scriveva in tutti i paesi fin dal Seicento: con più autorità in Italia dal marchese Maffei, con più violenza dall’abate Lami. Goldoni aveva già riso dei provocatori nell’Uomo di mondo (A. I, sc. 12) e un’altra lezioncina ebbe pronta in un dialogo, poi soppresso, della Famiglia dell’antiquario (A. IIII, sc. 6: edd. Bettin. e Paper.). Proprio nel marzo ’50 il conte Duranti di Brescia, noto ai letterati, uccideva in duello un conte Martinengo: il quale fatto destò rumore nel pubblico veneziano, benchè il processo che ne seguì si chiudesse l’anno dopo con l’assoluzione.

Ben maggiori pecche scoperse nel Cavaliere e la Dama l’ab. Pietro Chiari, armatosi bravamente d’una dozzina di poetiche aristoteliche. Per esempio Eleonora, «che non vuol esser soccorsa dall’innamorato servente, e mangiar si lascia le viscere da un curiale indiscreto, fa due personaggi in commedia e due azioni rappresenta»; esce dai «confini del verisimile» quel marito «sì ben impresso dell’onestà d’un amico, che l’obbliga ad isposare una moglie»; offende il costume la dama, quando a interrompere un tenero colloquio con don Rodrigo chiama «improvvisamente la fante», quasi confessando «di sentirsi allora allora l’abbominevole vergognoso prurito»; disdice «ad un cavaliere prudente... valersi d’un servitore sciocco e balordo quanto è Arlecchino» per soccorrere in segreto una donna povera; finalmente una moglie che «inor-