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272 | ATTO TERZO |
SCENA XII1.
Donna Eleonora e Don Rodrigo.
Eleonora. Misera me, in che mani io era caduta!
Rodrigo. V’ingannaste a fidarvi d’un forestiere. Colui non si sa di qual paese egli sia.
Eleonora. Orsù, lasciamo per ora di ragionare di ciò: ho piacere che mi abbiate ritrovata sola, e solo con voi bramo di restare per poco. Deggio farvi un discorso, da voi forse non preveduto.
Rodrigo. Lo sentirò volentieri.
Eleonora. Ma prima favorite dirmi qual esito abbia avuto la disfida di don Flaminio.
Rodrigo. La cosa si è pubblicata, si sono frapposti dei cavalieri comuni amici, ed ora si tratta l’aggiustamento.
Eleonora. Don Rodrigo, questa ch’io vi parlo forse è l’ultima volta. Deh, permettetemi ch’io vi parli con libertà.
Rodrigo. Oimè! Perchè l’ultima volta?
Eleonora. Non è più tempo di celar un arcano, finora con tanta gelosia nel mio cuor custodito. Finchè fui moglie, malgrado le violenze dell’amor mio frenai colla ragione l’affetto; ora che sono libera e che potrei formare qualche disegno sopra di voi, più non mi fido dell’usata mia resistenza, nè trovo altro riparo alla mia debolezza che il separarmi per sempre dall’adorabile aspetto vostro.
Rodrigo. Mi sorprende non poco la vostra dichiarazione. La bontà, che voi dimostrate per me, esige in ricompensa una confidenza. Sì, se mi credeste insensibile alle dolci maniere vostre, v’ingannaste di molto. So io quanto mi costa la dura pena di superare me stesso.
Eleonora. Ecco un nuovo stimolo all’intrapresa risoluzione. Noi non siamo più due virtuosi soggetti, che possano trattarsi senza passione, ed ammirarsi senza pericolo. Il nostro linguaggio ha
- ↑ Questa scena, com’è nelle edizioni Bettinelli e Savioli, vedasi in Appendice.