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IL CAVALIERE E LA DAMA | 267 |
Eleonora. Niuno sa da quante passioni sia combattuto il mio cuore.
Anselmo. Col più sincero sentimento del cuore protesto alla signora donna Eleonora il mio dolore per la perdita fatta della felice memoria del degnissimo suo consorte. Ho veduto il signor don Rodrigo, mi ha data egli questa cattiva nuova, e non ho voluto mancare al debito mio, protestandole che queste mie lacrime non sono cagionate da un affettato complimento, ma dal cuore addolorato per la compassione delle sue disgrazie.
Eleonora. Caro signor Anselmo, quanto sono tenuta al generoso amor vostro! Non accrescete colla vostra tenerezza la pena mia. Non mi fate lacrimar di vantaggio.
Anselmo. Veramente conosco che troppo mi lascio trasportare dal dolore per cagione di una vera amicizia. Doveva anch’io farle il solito complimento. Ella si consoli, siamo tutti mortali. Ma queste son cose che chi le ascolta le sa meglio di chi le dice, e non giovano nè per i morti, nè per i vivi. Sa ella cosa io le dirò, di buon cuore, da buon amico e servitore che le sono? In tutto quello che occorre, son qui per lei. Parli con libertà, se qualche cosa le bisogna per la casa, per il bruno, per altre spese; alle corte, per tutto, son qua io, mi comandi e disponga di me; questo è il più bel complimento ch’io possa farle.
Eleonora. Voi mi sorprendete con un eccesso di generosità. Pur troppo anco iersera mi avete favorito. Vi ringrazio delle cere, dello zucchero e di quant’altro mi avete abbondantemente favorita1.
Anselmo. Niente, queste son piccole cose. Mi dà permissione ch’io le possa parlare con libertà?
Eleonora. Anzi mi fate grazia a parlarmi liberamente.
Anselmo. Si degna ella, riguardo alla mia età, di tenermi in conto di padre?
Eleonora. Per tale vi considero e vi rispetto.
Anselmo. Ed io, non per il grado, sapendo non esser degno di tanto, ma per l’amor che le porto, la tengo in luogo di figlia.
- ↑ Bett. e Sav.: graziato.