Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, III.djvu/274

264 ATTO TERZO

Eleonora1. Scusatemi, o care amiche, se vi ho fatto un po’ troppo rimaner sole.

Claudia. In verità non pare che siate stata punto travagliata. Siete bianca e rossa come una rosa.

Eleonora. Eh, donna Claudia, io non mi curo far pompa d’una mestizia che potrebbe anche credersi simulata, nè per autenticarla affetto la pallidezza. Il mio dolor l’ho nel cuore. Io lo sento, e non m’importa che lo creda chi non può darmi sollievo alcuno.

Virginia. (Sentite? questa vi sta bene). (piano a donna Claudia)

Claudia. (Se lo dico! è superba quanto Lucifero).

Virginia. Donna Eleonora, ora che siete vedova, che pensate di fare?

Eleonora. In così brevi momenti non ho avuto comodo di pensare a me stessa.

Virginia. Io vi consiglio a rimaritarvi.

Claudia. Ed io vi consiglio a starvene vedova. Oh che bella cosa è la libertà! È vero che vi sono de’ mariti indulgenti, che non vietano2 alla moglie far ciò che vuole, ma però di quando in quando vogliono farsi conoscere mariti, e qualche volta impediscono quello che averanno cento altre volte concesso.

Virginia. In quanto a me, se restassi vedova, vorrei rimaritarmi in capo a tre giorni.

Claudia. Voi lo dite per impegno: per altro non credo che lo diciate di cuore; se avete un diavolo di cicisbei!

Virginia. Maritata li posso avere, e vedova non potrei.

Claudia. Ah sì! il marito serve di mantello.

Eleonora. Non mi par che sia gran piacere dar motivo al mondo di mormorare.

Claudia. Oh, in quanto al mondo, mormora con ragione e senza ragione, onde far bene o non far bene è l’istesso.

  1. Così Bett. e Sav.: «Scusatemi, care amiche, se io vi ho fatto un poco soverchiamente rimaner sole. Vi confesso la verità, già siamo tutte donne, ero tanto trista per la mala notte sofferta, che ho voluto assettarmi il capo. Virg. Avete fatto benissimo. Claud. In verità, non pare ecc.»
  2. Bett. e Sav.; impediscono.