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L'AUTORE

A CHI LEGGE.


Q
UANDO pensai a scrivere le Commedie in servigio del Teatro, ed a togliere, per quanto avessi potuto, le infinite improprietà che in esso si tolleravano, mi venne in mente di smascherare i ridicoli, bandire gli Zanni e correggere le caricature dei Vecchi. Ma ci pensai assaissimo, e pensandoci appresi che, se ciò avessi fatto, mille ostacoli mi si sarebbono opposti, e che non dovevasi sulle prime andar di fronte al costume, ma questo a poco a poco procurar di correggere e riformare.

In fatti nel primo e secondo anno di tale mio esercizio non ho azzardata Commedia alcuna senza le maschere, ma queste bensì a poco per volta sono andato rendendo men necessarie, facendo vedere al popolo, e toccar con mano, che si poteva ridere senza di loro, e che anzi quella specie di riso, che viene dal frizzo nobile e spiritoso, è quella ch’è propria degli uomini di giudizio.

Provai una Commedia senza le maschere, e questa fu la Pamela; vidi che non dispiacque, ed io ne feci alcun’altre, felici tutte egualmente. Veggendo io dunque che tra i teatri d’Italia vanno gustando un ridicolo nobile, senza mendicarlo dalla caricatura dei volti o dell’abito, ho levato le maschere anche da questa, sembrandomi che la nobiltà dell’argomento lo richiedesse. Ciò spero riuscirà grato principalmente a quelle persone che si compiacciono recitare le mie Commedie per passatempo, non essendo sì facile fra’ dilettanti trovar le maschere colla varietà dei dialetti.

Penetrai altresì che in Firenze si erano le Commedie mie rappresentate senza le maschere, cambiate in altri caratteri da persone di abilità e di talento, e mi consolai che colà si facessero le mie Commedie, trovandomi onorato moltissimo che da sì dotta e colta Nazione si soffrano e si coltivino le imperfette opere mie. Quando poi le ho vedute in Firenze io stesso rappresentare, non posso bastantemente esprimere quanto siasi accresciuto il mio giubilo, e