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Pantalone. Siora sì, quattr’anni.
Florindo. Quest’è un castigo troppo crudele.
Pantalone. Se no te piase la mia sentenza, ti proverà quella d’un giudice più severo.
Rosaura. Ma io con mia zia non voglio più ritornare.
Pantalone. Dottor, songio so pare?
Dottore. Sì, con tutta l’autorità.
Pantalone. Animo, (agli uomini) mettela in t’una sedia, e fè che per amor o per forza la sia serrada.
Rosaura. Pazienza! Anderò, giacchè il cielo così destina.
Ottavio. Andate, figliuola mia, di buon animo; soffrite con pazienza questa mortificazione. Verrò io qualche volta a ritrovarvi.
Rosaura. Statemi lontano per sempre, e volesse il cielo che non v’avessi mai conosciuto.
Pantalone. Com’ela? Xelo sta elo che v’ha messa su?
Rosaura. Io stava con mia zia in buona pace, quieta e contenta, quando è venuto costui con dolci parole ed affettate maniere a turbarmi lo spirito, ad invogliarmi del mondo, a farmi odiare la solitudine. Per sua suggestione ho tormentato mio padre, acciocchè mi ritornasse alla casa paterna. Le sue lezioni mi hanno invaghita del matrimonio, per sua cagione ho conosciuto il signor Florindo; da lui ritrovata di notte, sono stata in procinto di precipitarmi per sempre. Pazienza! Anderò a chiudermi nella mia stanza, ma non è giusto che vada impunito il perfido seduttore, l’indegno e scellerato impostore.
Ottavio. Pazienza! Son calunniato.
Florindo. No, non è di ragione che, se noi proviamo il castigo, quel perfido canti il trionfo. Egli è quello che invece di darmi delle buone lezioni, m’insegnava a scrivere le lettere amorose. Egli mi ha condotto a giocare; egli mi ha introdotto in casa di queste buone ragazze; mi ha egli assistito al furto delli trecento scudi, ed è opera sua il cambio della cenere colle monete.
Ottavio. Pazienza! Son calunniato.
Colombina. Io pure, povera sventurata, son in queste disgrazie per sua cagione. Egli mi ha consigliata a sposare il signor