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ATTO SECONDO.
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SCENA IV.
Beatrice e Pantalone.
Beatrice. Fermati, senti. Oh povera me! In che imbarazzo mi trovo. Amo questo mio figlio più di me stessa, e l’amore ch’io ho per lui mi fa chiudere gli occhi a tutto quello che può essere di pregiudizio a mio manto, alla mia casa, a me stessa. Ben venuto.
Pantalone. Bondì sioria, fia. (con qualche astrazione)
Beatrice. Che avete? Mi sembrate alquanto turbato.
Pantalone. Gnente; son un poco stracco.
Beatrice. Volete sedere?
Pantalone. Sì ben, me senterò. No gh’è nissun che porta cariega?
Beatrice. Non v’è nessuno; ve la darò io.
Pantalone. Via, sieu benedetta.
Beatrice. (Bisogna prenderlo colle buone). (da sè, recando due sedie)
Pantalone. (Ancuo la xe de bona luna). (da sè, siede) Dove xe i putti?
Beatrice. Florindo studia. Lelio sa il cielo dove sarà.
Pantalone. Mo no i xe vegnui a casa insieme?
Beatrice. Oh pensate! Lelio ha piantato il maestro.
Pantalone. L’ha impianta el maestro? Ch’el vegna a casa, ch’el me sentirà.
Beatrice. Verrà a ora di pranzo; si metterà a tavola colla solita sua franchezza, e voi non gli direte nulla; e voi lo lascierete mangiare senza dirgli una parola.
Pantalone. A tola mi no crio. Se gh’ho qualcossa coi mi fioi, piuttosto li mando a magnar in camera, e cussì li mortifico senza criar. A tola no vôi musoni. A tola no vôi musoni1. Quello xe
- ↑ La ripetizione sta nel testo.