Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, III.djvu/129


121

SCENA XII.

Florindo e Colombina.

Colombina. (Povero Arlecchino! Tutti lo maltrattano, ma se sarà mio marito, gli porteranno rispetto). (da sè)

Florindo. Colombina, che fate voi di bello?

Colombina. Non vede? Stendo una camicia. (sostenuta)

Florindo. E di chi è questa bella camicia?

Colombina. È di V. S. Illustrissima. (ironicamente)

Florindo. Brava, la mia cara Colombina. Siete veramente una giovine di garbo.

Colombina. Obbligatissima alle sue grazie. (senza mirarlo)

Florindo. Siete graziosa, siete spiritosa, ma avete un difetto che mi spiace.

Colombina. Davvero? E qual è questo difetto che a lei dispiace?

Florindo. Siete un poco rustica; avete dei pregiudizi pel capo.

Colombina. Fo il mio debito e tanto basta.

Florindo. Eh ragazza mia, se non farete altro che il vostro debito, durerete fatica a farvi la dote.

Colombina. Noi altre povere donne, quando abbiamo un buon mestiere per le mani, troviamo facilmente marito.

Florindo. La fortuna vi ha assistito, facendovi capitare in una casa dove vi è della gioventù, e voi non ve ne sapete approfittare.

Colombina. Signor Florindo, questi discorsi non fanno per me.

Florindo. Cara la mia Colombina, e pure ti voglio bene.

Colombina. Alla larga, alla larga; meno confidenza.

Florindo. Lasciatemi vedere; che camicia è questa? (col pretesto le tocca le mani)

Colombina. Eh, giù con le mani.

Florindo. Guardate questo manicottolo, è sdruscito. (la tocca)

Colombina. Che impertinenza!

Florindo. Via, carina. (segue a toccarla)

Colombina. Lasciatemi stare, o vi do questo ferro nel viso.

Florindo. Non sarete così crudele. (come sopra)