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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Camera in casa di Pantalone con due tavolini da studiare,
con sopra carte, libri e calamai.

Lelio ad un tavolino, che studia, Florindo all’altro tavolino, che scrive; Ottavio che assiste all’uno e all’altro.

Ottavio. Testa dura, durissima, come un marmo. (a Lelio)

Lelio. Avete ragione, signor maestro, son un poco duro di cervello. Faccio fatica ad intendere, ma poi sapete, che quand’ho inteso, non fo disonore alle vostre lezioni.

Ottavio. Bell’onor che mi fate! Ignorantaccio. Mirate là vostro fratello. Egli è molto più giovine di voi, e impara tanto più facilmente.

Lelio. Beato colui che ha questa bella felicità! Io so che sudo e faccio fatica. Non ho però veduti gran miracoli del suo bel talento. Si spaccia per bravo, per virtuoso, ma credo che ne sappia molto meno di me.

Ottavio. Arrogante, impertinente. (a Lelio)

Lelio. (Il signor maestro vuol andar via colla testa rotta). (da sè)

Ottavio. Orsù, vado a riveder la lezione a Florindo, che m’immagino sarà esattissima; voi intanto risolvete a perfezione il quesito mercantile che vi ho proposto. Fate che il signor Pantalone sia contento di voi.

Lelio. Ma questo è un quesito che esige tempo e pratica, e senza la vostra assistenza non so se mi riuscirà di dilucidarlo.

Ottavio. Il quesito è chiaro; le regole le sapete; studiate, affaticatevi e non mi seccate di più.

Lelio. (Che indiscretezza! Che manieraccia rozza e incivile! Ho tanta antipatia col maestro, ch’è impossibile ch’io possa apprendere sotto di lui cosa alcuna. Basta, mi proverò. Lo fo