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94 ATTO TERZO


con un uomo giusto e che troverà la maniera di rimediare anco al tuo danno. Dunque tra voi è già corsa la promessa. (a Rosaura)

Rosaura. Signor sì.

Pancrazio. Siete promessi; siete fuggiti di casa; l’onore è offeso; bisogna dunque per ripararlo che vi sposiate. Signor Geronio, approvate voi la promessa di vostra figlia? L’autenticate colla vostra?

Geronio. Sì, fate voi.

Pancrazio. Ed io prometto per la parte di Florindo, e tra di noi faremo con più comodo la scrittura.

Rosaura. (Questo castigo non mi dispiace). (da sè)

Pancrazio. Signori, siete solennemente promessi e sarete un giorno marito e moglie; ma se si effettuasse adesso questo matrimonio, verreste a conseguire non la pena, ma il premio delle vostre colpe, e dall’unione di due persone senza cervello non si potrebbero aspettare che cattivi frutti, corrispondenti alla natura dell’albero. Quattro anni di tempo dovrete stare a concludere le vostre nozze, e in questo spazio Florindo anderà sulla nave ch’è alla vela, dove avea destinato di mandare il cattivo figliuolo; la signora Rosaura tornerà in campagna, dov’è stata per tanto tempo, serrata in una camera e ben custodita.

Rosaura. Quattro anni?

Pancrazio. Signora sì, quattr’anni.

Florindo. Questo è un castigo troppo crudele.

Pancrazio. Se non ti piace la mia sentenza, proverai quella di un giudice più severo.

Rosaura. Ma io con mia zia non voglio più ritornare.

Pancrazio. Signor Geronio, sono in luogo di padre?

Geronio. Sì, con tutta l’autorità.

Pancrazio. Animo dunque, (agli uomini) Mettetela in una sedia, conducetela dalla sua zia, e fate che si eseguisca.

Rosaura. Pazienza! Anderò, giacchè il cielo così destina.

Ottavio. Andate, figliuola mia, di buon animo, soffrite con pazienza questa mortificazione. Verrò io qualche volta a ritrovarvi.