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68 ATTO TERZO

Tonino. Subito la favorisse.

Florindo. (Che complimenti obbliganti! ) (da sé)

Tonino. (Tira fuori una tabacchiera involta in un foglio.)

Florindo. Di che mai è quella sua tabacchiera? è una qualche gioja preziosa?

Tonino. La xe d’arzente massizzo. La tegno incartada, acciò che no la se insporca.

Florindo. Che pulizia ammirabile!

Tonino. Prenda e s’imbalsami. (a Rosaura)

Florindo. Favorisca.

Tonino. La senta che roba. Siviglia d’Albania. (a Florindo)

Rosaura. È molto secca questa vostra Siviglia Albanese. Quant’è che l’avete?

Tonino. Me l’ha donada sior santolo, che sarà debotto tre anni.

Florindo. La lascierete ai vostri figliuoli per fideicommisso.

Tonino. La diga, sior Florindo, no la gh’ha gnente da far adesso?

Florindo. Niente affatto.

Tonino. No l’anderave a dar una ziradina?

Florindo. Sto qui per voi, per tenervi conversazione.

Tonino. Per mi la vaga pur, che la mando.

Florindo. (Siamo alle solite). (a Rosaura)

Rosaura. (Compatitelo; lo conoscete). (a Florindo)

Tonino. Per dirghela, sior Florindo, la me dà un pochette de suggizion.

Florindo. Non vi prendete soggezione di me. Fate conto che io non ci sia. Parlate e trattate con libertà.

Tonino. Bravo; cussì me piase. La diga, patrona, cossa fala? Stala ben? Come staghio in te la so cara grazia? Me par che sia un bel caldo; con so bona licenza. (si cava la parrucca, e l’attacca alla sedia)

Florindo. (Oh la bella figurina!) (da sé)

Rosaura. Perdonatemi, signore; questa è una mala creanza.

Tonino. La compatissa; ghe remedieremo. (si mette un berrettino)

Rosaura. Peggio. Parete un villano con quella berretta.

Tonino. Scondemola. (si pone un fazzoletto in capo)