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64 | ATTO TERZO |
Ottavio. A me questo? (con isdegno)
Tonino. Ve n’aveu per mal? Ve lo digo con civiltà.
Ottavio. Così si parla meco? Asino impertinente.
Tonino. Tolè, el va in collera.
Ottavio. Non so chi mi tenga, che non vi dia tanti calci, quanti ne potete portare.
Tonino. Se me dare, chiamerò sior Fabrizio.
Ottavio. È egli quello che vi ha consigliato a parlarmi sì indegnamente?
Tonino. Sior sì, ma nol dise miga per offenderve; el lo dise per ben.
Ottavio. Vi pare piccola offesa dirmi frappatore, raggiratore, uomo cattivo e di mala fede? Giuro al cielo, me ne farò render conto. Ma vorrei sapere da voi, bestia ignorantissima, a che motivo vi ha egli detto questo di me.
Tonino. Mo via, no stè andar in collera. Ve digo che el l’ha dito per ben. El dise cussì, che vu sé quello... Ma no vu, che mio barba xe un poco de bon, e che vu sé un galantomo, ma che coi mi bezzi e co la mia roba volè mantegnir la dona, el zogo e tutti i vostri vizietti.
Ottavio. Ha detto questo?
Tonino. Sior sì. Xele mo cosse da andar in collera?
Ottavio. (Ho capito; per me la cuccagna è finita. Partirò solo). (da sé)
Tonino. Via, femo pase. Co me marido, sarè mio compare.
Ottavio. Sarò un malanno che vi colga fra capo e collo. Andate al diavolo, dove volete, che di voi non voglio altri pensieri. (in atto di partire)
Tonino. Me lasseu cussì?
Ottavio. Sì, vi lascio per non vedervi mai più.
Tonino. Mi resto a Roma. (ridendo)
Ottavio. Restate, burattino mal fatto.
Tonino. E vu dove andeu?
Ottavio. Dove voglio.
Tonino. Deme i mi abiti, la mia roba e i mi bezzi.