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IL FRAPPATORE | 57 |
SONETTO.
Occhi belli, più bei della bellezza;
Fronte, del Dio d’amor spaziosa piazza;
Naso, maschio real della fortezza;
Bocca, più dolce assae de una smeggiazza1.
Petto, più bianco d’ogni altra bianchezza,
Ondeselle d’un mar che xe in bonazza;
Vita, dretta e zentil come una frezza;
Fianchi, pan de bottiro, o sia fugazza.
Man, puina zentil, che alletta e piase;
Penin, fatto col torno, o col scaipelo;
Gamba, d’un bel zardin colona e base.
Quel che vedo, ben mio, xe tutto belo.
Son pittor, son poeta, e me despiase
Che de più no so far col mio penelo.
Rosaura. Ma come fate mai ad avere in mente tante belle cose?
Tonino. Mi gh’ho una mente che pensa a diese cosse alla volta; ma adesso, in sto ponto, penso a una cossa sola.
Rosaura. Ora a che cosa pensate?
«Liberi sensi in semplici parole.
Rosaura. Di chi son questi bei versi?
Tonino. Del Tasso. El Tasso lo so tutto a memoria. Anca là dove che el dise:
«D’antica selva s’ha cava la scuffia.
Rosaura. Dice così veramente?
Tonino. O cussì, o colà. Vegnimo alle curte. Me vorla per so mario?
Rosaura. Piacemi questa maniera laconica.
Tonino. Oh, mi no patisso la colica.
Rosaura. Voglio dire che andate alla breve.
Tonino. Cossa serve? I brui2 longhi a mi no i me piase. Son vegnù a Roma per maridarme. Se la me vol, son qua.