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610 ATTO TERZO

Menego. Fradei, no me lasse. (ai barcaruoli)

Nane. Pugna prò patria, e traditor chi fugge.

Tita. Sarò qual mi vorrai, scudier o scudo.

Lelio. Alle corte. Mi volete dar dei denari, sì o no? (a Menego)

Menego. Anca mi a le curte. No ve vogio dar gnente.

Lelio. Siete un cane, un assassino del vostro sangue.

Menego. A mi?

Nane. Oe, come parlela, sior?

Tita. Qua no se alza la ose, patron.

Lelio. Che pretendete da me? Bricconi quanti siete. Pasqualino, Arlecchino, pronti.

Nane. Coss’è sti briconi? Sier peruca de stopa1.

Tita. Parlè megio sier mandria2.

Lelio. Eh, giuro al cielo. (alza il bastone contro i barcaruoli)

Nane. In drio, sier cagadonao. (caccia mano a un stilo)

Tita. Via, che te sbuso. (sfodera un pugnale)

Lelio. V’ammazzerò quanti siete. (mette mano alla spada. Pasqualino e Arlecchino fuggono. Siegue zuffa tra Lelio e Nane e Tita; Menego vorrebbe dividerli, ma non s’arrischia; finalmente Nane dà una stilettata in petto a Lelio, il quale barcollando va a morire dentro la scena).

Nane. L’è morto, l’è morto.

Tita. Coss’avemio fato?

Menego. (Si mostra confuso senza parlare, e parte.)

Nane. Andemo, andemo. (parte)

Tita. Scampemo via. (parte)

SCENA XI.

Strada con porta d’osteria.

Pasqualino ed Arlecchino dall’osteria.

Pasqualino. Cossa mai sarà?

Arlecchino. Gnente. Son qua mi, e no abbiè paura.

Pasqualino. No vorave precipitar.

Arlecchino. Se i vien fuora, i mazzo quanti che i xe.

  1. «Signore da burla»: Boerio.
  2. «Incivile, villano»; Boerio.