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LA PUTTA ONORATA | 485 |
così bene accomodare, che incantano. Veder quelle che chiamano putte, puttazze. Oh, che roba! Oh che aria! Che vite! Che visi! Che balsamo! Che vitello da latte!
Catte. (Questo el me par un foresto). (da sè)
Lelio. Parmi di vedere una donna. A tutte l’ore s’incontrano di queste buone fortune. Mi dispiace che son senza denari.
Catte. Vogio passarghe d’arente, per veder se lo cognosso. (s’accosta a Lelio)
Lelio. Signora, così sola?
Catte. Pur tropo per mia desgrazia.
Lelio. Che cosa l’è succeduto?
Catte. Ho perso la compagnia, e no so andar a casa.
Lelio. Vuol che io l’accompagni?
Catte. Magari.
Lelio. Ha ella cenato?
Catte. Sior no.
Lelio. Nè anch’io.
Catte. Cenalo la sera?
Lelio. Quando posso.
Catte. Come quando el pol?
Lelio. Intendo dire quand’ho denari.
Catte. Sta sera xelo senza?
Lelio. Son asciutto come esca.
Catte. (Ho trova la mia fortuna). (da sè)
Lelio. Vuol restar servita a bevere un bicchiere di moscato?
Catte. Ma se el dise che nol gh’ha bezzi?
Lelio. Io mi fido di lei.
Catte. Che paga mi?
Lelio. Pagheremo una volta per uno.
Catte. (Siestu maledetto!) (da sè) El moscato me fa mal.
Lelio. In casa averà del buon vino.
Catte. Piccolo, la veda, piccolo.
Lelio. Oh quanto mi piace il vino picciolo!
Catte. (L’è un sior degnevole. Oh, che bel forestiero che m’ho trova!) (da sè)