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IL FRAPPATORE 43

Arlecchino. Son servitor, ma no son miga servitor della comunità.

Ottavio. Non siete servitore della locanda?

Arlecchino. Son in te la locanda, son servitor, ma la mia patrona no la gh’ha nome Locanda.

Ottavio. (O è sciocco, o io finge). (da sé) Chi è dunque la vostra padrona?

Arlecchino. Una donna femmena.

Ottavio. È alloggiata in questa locanda?

Arlecchino. Patron lustrissimo, signor sì.

Ottavio. È giovane la vostra padrona?

Arlecchino. Più tosto.

Ottavio. È bella?

Arlecchino. No ghe xe mal.

Ottavio. Di che condizione?

Arlecchino. Cussì e cussì.

Ottavio. Sarà persona privata.

Arlecchino. Più tosto pubblica che privata.

Ottavio. Pubblica? in qual maniera?

Arlecchino. La va per el mondo in abito da pellegrina.

Ottavio. Come si chiama?

Arlecchino. Colla bocca.

Ottavio. Eh scioccherie! Come si può fare a vederla?

Arlecchino. Per vederla bisogneria vardarla coi occhi.

Ottavio. Ho inteso; voi siete un furbo; non mi volete dire la verità. Per ora non ho tempo da trattenermi. Ho da scrivere di premura. Tornerò e me la farete vedere, e sappiate ch’io son galantuomo. (Ho curiosità di vedere se è qualche cosa di buono). (da sé, parte)

SCENA III.

Arlecchino, poi Eleonora.

Arlecchino. L’è un omo de bon stomego. A tutto el se tacca, tutto ghe comoda, per quel che sento.