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442 ATTO SECONDO


si remiga, cioè si voga, come dite voi altri, ma però in altra maniera.

Tita. Eh, lo so anca mi. I voga in drio1 schena a mo galioto2.

Lelio. Io ci aveva tutto il mio gusto. Era tutto il giorno col remo in mano.

Tita. Ma, la diga, no xela venezian ela?

Lelio. Sicuro che son veneziano. Io son figlio del signor Pantalone de’ Bisognosi.

Pasqua. (Cossa sentio! Oimè, se me missia tuto el sangue).(da sè)

Tita. Ma perchè no parlela venezian?

Lelio. Perchè sono andato a Livorno da ragazzo, e non me ne ricordo più.

Tita. Da mi comandela altro?

Lelio. Ditemi, dov’è la miglior osteria di questa città?

Tita. Perchè no cerchela la casa de so sior pare, e no l’osteria?

Lelio. Oh, io ho tutta la mia passione per la bettola; anzi non voglio lasciarmi vedere da mio padre per qualche giorno, per godermi Venezia con libertà.

Tita. Ma se so sior pare lo vede, el se n’averà per mal.

Lelio. Nè egli conosce me, nè io conosco lui. Sono andato a Livorno da ragazzo.

Tita. Mi sior Pantalon lo cognosso.

Lelio. Caro camerata, non gli dite niente.

Tita. La perdona, cara ela, cossa favela a Livorno?

Lelio. Mio padre mi ha posto colà a imparare la mercatura; ma io non ho imparato altro che a vogare, a pescare, a bevere, a bestemmiare e a menar le mani.

Tita. Se vede che l’ha fatto del profitto. Me ne rallegro.

Pasqua. (Tiolè, velo là! Tuto so pare col giera3 zovene). (da sè)

Lelio. Andiamo a bevere, che ho una sete che crepo. Ma, sentite, non voglio già pagar io; ce lo giocheremo alla mora. (parte)

Tita. Questa xe una vertù de più, che no l’aveva dito, (parte)

Pasqua. Vardè in che ponto che son vegnua! Povereta mi! Ho

  1. Dietro.
  2. Alla maniera di quelli che vogano nelle galere.
  3. Quando (egli) era.