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432 | ATTO PRIMO |
Ottavio. Benissimo, in voi mi rimetto.
Arlecchino. Dà qua quel caffè, qua quei buzzolai. (al giovine) La osserva e la considera la prudenza dell’omo. Mia cugnada no voi gnente, e quando la donna no la vol, ustinada, no la vol. Mandarli indrio sarave un affronto a vussustrissima, onde per giustar la faccenda de sto caffè e de sti buzzolai, me ne servirò mi; e che sia la verità, la staga a veder e la giudichi del spirito de sto toco d’omo. (va mangiando i biscottini bagnati nel caffè)
Ottavio. Bravo, mi piace. (Costui mi pare a proposito per il mio bisogno). (da sè)
Bettina. Postu magnar tanto tossego.
Ottavio. (Sarà meglio che mi vaglia di lui, che ha della autorità sopra la cognata). (da sè)
Arlecchino. (Seguita il fatto suo.) (da sè)
Bettina. (No vedo l’ora d’andar via da sta zente).
Ottavio. Amico, buon prò vi faccia. (ad Arlecchino)
Arlecchino. Vedelo? Adesso xe giusta tutto. Gh’ala con mia cugnada qualche altra differenzia1 de sta natura? (il giovine caffettiere parte)
Ottavio. (Ho da parlarvi da solo a solo). (piano ad Arlecchino)
Arlecchino. Siora cugnada, poderessi far la finezza de2andar via de qua?
Bettina. Mi stago qua de casa.
Arlecchino. No la vol andar via? Femo una cossa; troveremo un altro mezzo termine per giustar anca questa. Anderemo via nu. (ad Ottavio)
Ottavio. Farò come volete. Andiamo pure.
Bettina. (Magari a quarti, co fa la luna). (da sè)
Ottavio. Bettina, vi saluto.
Bettina. Strissima. (con sprezzatura)
Ottavio. Siete pur vezzosa.
Bettina. (El xe pur mato). (da sè)
Ottavio. Eppure vi voglio bene.