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388 | PROLOGO APOLOGETICO |
Polisseno. Il popolo, che allora rideva, non rideva di me, ma di se medesimo; quando il Poeta diceva per bocca dell’Attore spropositi, spropositi, intendeva riprendere il popolo che li ha applauditi. Purtroppo è vero: piace sentir dir male, e vi sono di quelli che s’accordano co’ maldicenti a biasimar quelle stesse cose che hanno lodato.
Prudenzio. Dunque volete che si reciti la Vedova Scaltra?
Polisseno. Perchè no? anzi si ha da recitare senza mutarvi una sillaba. Se mi fosse stata corretta prima di esporla, averei creduto ch’ella meritava la correzione; ora farei torto al pubblico, se la ritoccassi. Chi la critica? Intendetemi, senza ch’io parli. Se avessi io altrettanto veleno in corpo, v’assicuro che lo saprei vomitare a tempo. Ma il buon Poeta, temendo ch’io sia di veleno infettato, mi ha preparata una triaca, composta di soggetto rubato, caratteri copiati1, frasi da altri rivedute e corrette, periodi di vario stile intrecciati, con una inorpellatura di novità, che può realmente dirsi Mumia travestita.
Prudenzio. Non so che dire; se volete che si reciti la vostra Commedia, fatelo, io non mi oppongo, ma avvertite non innestarvi critiche, o maldicenze.
Polisseno. Io non sono capace di mettere in ridicolo le persone sovra il Teatro, tuttocchè avessi ragion di farlo. I miei Comici non hanno l’ardire di sparlar de’ Poeti, conoscendo il loro dovere; nè mai mi sarei io aspettato un contegno tale, da chi si è nutrito per tanto tempo col latte della mia Musa, ed ha riportati gli evviva col merito delle povere mie fatiche2. Signor Prudenzio, voi che siete il Reformator de’ Teatri, troncate per tempo questo pessimo abuso. Dir male in un Teatro dell’altro, maltrattarsi i Comici fra di loro, sono cose da ciarlatani, e se la cosa seguiterà di questo piede, i Teatri diventeranno berline. Signor Prudenzio, vi riverisco.
Prudenzio. Dove andate così di furia?
Polisseno. Vado al mio tavolino a scrivere le mie Commedie.