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370 | ATTO TERZO |
Conte. Per l’appunto.
Rosaura. Quanto siete di cattivo gusto! Che ha di bello colei?
Conte. Tutto; e poi piace a me, e tanto basta.
Rosaura. Ella non è nobile.
Conte. È tanto savia e civile, che supplisce al difetto della nobiltà; ma ella nasce di casa nobile bolognese, e la famiglia de’ Bisognosi è delle antiche di questa città.
Rosaura. Rosaura credo sia impegnata con altri.
Conte. Se lo credete voi, non lo credo io; e quando ciò fosse, saprei morire, ma non mancarle di fede.
Rosaura. Siete troppo costante.
Conte. Fo il mio dovere.
Rosaura. Ma io che sospiro per voi, non posso sperare pietà?
Conte. Vi dissi che nulla potete sperare.
Rosaura. Se mi darò a conoscere, forse sarete obbligato ad amarmi.
Conte. Voi pensate male, e non vi consiglio a scoprirvi, per minorarvi il rossore della ripulsa.
Rosaura. Dunque partirò.
Conte. Andate pure.
Rosaura. Vorrei almeno una memoria della vostra persona.
Conte. Perchè volete ricordarvi d’uno che non vi ama?
Rosaura. Fatemi questo piacere, datemi qualche ricordo.
Conte. (Ho capito). (da sè) Se volete un mezzo ducato, ve lo posso dare.
Rosaura. Non ho bisogno del vostro denaro.
Conte. Dunque che pretendete?
Rosaura. Questo fazzoletto mi serve. 1
Conte. Manco male. Me lo poteva dire alla prima, che faceva all’amore col mio fazzoletto. Che razza di gente si trova in questo mondo! Così, a quest’ora, verso la sera, la Piazza è piena di queste bellezze incognite. Questa è delle più discrete, che si è contentata di un fazzoletto: vi sono quelle che tirano alla borsa. Io non saprei adattarmi a trattarle. La donna venale è una cosa troppo orrida agli occhi miei. (parte)
- ↑ (gli leva il fazzoletto di mano e parte)