Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, II.djvu/356

346 ATTO SECONDO

SCENA XXII.

Arlecchino, poi Marionette, ch’esce di casa.

Arlecchino. (Resta attonito colla carta in mano, guardando dietro a Monsieur).

Marionette. Monsieur Arlecchino, che fate voi?

Arlecchino. Stava pensando alla generosità d’un Francese.

Marionette. Di monsieur le Blau?

Arlecchino. Giusto de quello.

Marionette. Vi ha forse regalato?

Arlecchino. E come!

Marionette. Sentite, voi che volete essere un servitor parigino, imparate le buone usanze di quel paese. Quando il servitor dell’amante guadagna qualche mancia, deve farne parte colla cameriera della sua bella. Perchè poi la cameriera è quella che fa che le cose passino bene, e che tutti godano.

Arlecchino. Evviva Marionette, meriti una recognizione senza misura.

Marionette. Certo ch’io ho molto giovato al tuo padrone.

Arlecchino. Vo pensando che posso darti, per un’opera così bene eseguita.

Marionette. Dieci scudi non pagherebbono1 i buoni uffici che ho fatti per lui.

Arlecchino. Dieci scudi? Meriti un premio illimitato, una recognizione estraordinaria. Ma ecco, ecco ch’io già m’accingo a premiarti in una maniera corrispondente al tuo gran merito. Para la mano. Eccoti un pezzo di questa carta, ch’è la cosa più preziosa di questo mondo. (straccia un pezzo di foglio, glielo dà, e parte)

SCENA XXIII.

Marionette sola.

Ah Italianaccio senza creanza! Mi pareva impossibile che fosti capace di sentimenti men che plebei. A me un pezzo di carta?

  1. Bettin.: pagherebbero.