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LA VEDOVA SCALTRA 321

Rosaura. (Oh questo è originale!) (da sè)

Alvaro. (Mentre vuol guardare le ore, gli casca in terra l’orologio) Va al diavolo. (gli dà un calcio, e lo getta in fondo della1 scena)

Rosaura. Che fate? Un orologio così perfetto?

Alvaro. Quello che ha toccato i miei piedi, non è più degno della mia mano.

Rosaura. Dice bene.

Alvaro. Ma voi, in mezz’ora che siete meco, non mi avete ancora richiesto cosa veruna.

Rosaura. Non saprei di che pregarvi, oltre l’onore della vostra grazia.

Alvaro. La grazia d’uno Spagnuolo non si acquista sì facilmente; siete bella, siete maestosa, mi piacete, vi amo, ma per obbligarmi ad esser vostro, vi mancano ancora delle circostanze.

Rosaura. Favorite dirmi che cosa manca.

Alvaro. Sapere in qual grado di stima teniate2 la nobiltà.

Rosaura. Essa è il mio nume.

Alvaro. Conoscere se sapete sprezzare l’anime basse ed ignobili.

Rosaura. Le odio e le aborrisco.

Alvaro. Sperimentare se avete la virtù di preferire un gran sangue ad una vana bellezza.

Rosaura. Di ciò mi pregio costantemente.

Alvaro. Or siete degna della mia grazia. Questa è tutta per voi. Disponetene a piacer vostro. (s’alza)

Rosaura. Volete di già lasciarmi? (s’alza ella3 pure)

Alvaro. Non voglio più a lungo cimentare il mio contegno. Comincerei a indebolirmi.

Rosaura. (Voglio provarmi se so dargli gusto all’usanza del suo paese.) (si mette in gravità) Da me non sperate uno sguardo men che severo.

Alvaro. Così mi piacete.

Rosaura. Vi lascerò penare prima d’usarvi pietà.

Alvaro. Lo soffrirò con diletto.

Rosaura. Ad un mio cenno dovrete trattenere sino i sospiri.

  1. Bettin., Paper, ecc.: in fondo la.
  2. Bett., Paper, ecc.: tenghiate.
  3. Bettin.: lei.