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LA VEDOVA SCALTRA | 295 |
Arlecchino. Co l’è cussì, no la s’incomoda. Anderò a servirla, e farò anca mi quel che se sol far da quasi tutti i camerieri delle locande. (parte)
Milord. Ehi? (vengono tre servitori di locanda) Prendi il lume. (ad uno dei servitori, il quale porta un candelliere per servire il Milord) Amici, un poco di riposo, (parte, servito dal cameriere, come sopra)
Monsieur. Addio, Milord. Andiamo a dormire per un momento anche noi. Credo non vi sarà bisogno di lume, (tutti s’alzano)
Conte. Se non ci vedremo nell’albergo, ci troveremo al caffè.
Monsieur. Questa mattina forse non mi vedrete.
Conte. Siete impegnato?
Monsieur. Spero di esser da madama Rosaura1.
Conte. Questo è impossibile. Ella non riceve veruno. (parte, servito da un servitore col lume)
Monsieur. Sentite come si riscalda2 il Conte? Egli è innamorato più di noi, e forse gode quella corrispondenza che noi andiamo cercando.
Alvaro. Se fosse così, sarebbe molto geloso.
Monsieur. È italiano, e tanto basta. (parte, servito da un altro, come sopra)
Alvaro. Sia pur geloso quanto vuole, sia pur Rosaura fedele, i dobloni di Spagna sanno fare dei gran prodigi. (parte anch’egli, servito da un altro)
SCENA IV.
Giorno. Camera di Rosaura con sedie.
Rosaura e Marionette, vestita all’uso delle cameriere francesi.
Rosaura. Cara Marionette, dimmi tu, che sei nata francese e sei stata allevata a Parigi, che figura farei io, se fossi colà fra quelle madame?