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tradotta la Favola stessa, o vogliansi supporre gli Attori periti dell’idioma che parlano. L’Arlecchino, il Dottore parlano francese, per queste ragioni, a Parigi: Plauto, Terenzio han le lor Commedie la maggior parte di personaggi Greci composte, e per questo li fan essi parlar greco o latino? E nelle Tragedie sarebbe una delizia per gl’Italiani il sentir parlar turco od arabo un Orbecche, un Solimano; parlare scita un Oronte, caldeo una Semiramide, persiano un Ciro. Si dee supporre che gli uditori si figurino di sentir parlare gli Attori la loro lingua nativa, benché di fatto parlino la paesana; tosto che al carattere ne conoscano la nazione, e ciò con ragione e per una spezie di necessità; perciocché le lingue straniere non sarebbono intese dalla maggior parte dell’Uditorio, di esse ignorante; e sarebbe facile che i Comici le storpiassero parlandole, onde gl’imperiti non goderebbono la Commedia, per non intenderne il linguaggio, ed i periti si sdegnerebbono in sentir maltrattati gl’idiomi.

Ma è vano ch’io cerchi su questa ed altre imputazioni giustificarmi. La Commedia è piaciuta al Pubblico, il Pubblico la difende, e su tal difesa m’acquieto. Si acchetino i Critici ancora, se loro piace; quando no, si assicurino ch’io faccio il sordo.