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parlare, perchè questa specialmente mi fu lodata da alcuni come ben regolata, e ben condotta».
A questo passo allude la premessa della commedia. Del libro, uscito anonimo, il G. cita il titolo, non l’autore, che fu il Padre Giov. Antonio Bianchi (n. a Lucca nel 1686, m. a Roma nel 1758). Lo sapeva? In ogni caso, non senza malizia, ma con le cautele a lui proprie, per bocca di Giovanni Lami, editore delle Novelle letterarie, consiglia di non leggere l’opera!
Troppi i personaggi abietti, troppi i delitti pensati o minacciati. Al G., come altre volte in tali casi, parve savia misura deportare la malvagia compagnia ben lontano, a Sorrento. Così un giorno manderà a Gaeta l’adulatore, reo di ben altro che di sola adulazione, e di Napoli fingerà oriundo il suo venezianissimo Don Marzio.
Nè veleni, nè schioppettate, nè trabocchetti con chiodi e rasoi, e nemmeno l’ambiente tutto, moralmente pestifero, allarmarono la censura di quei giorni. L’a. stesso parve meravigliarsene, perchè qualche anno dopo, quarndo il Magistrato della Bestemmia lo costrinse a mutare alcunchè nella Donna forte, egli osservò: «rispetto al macchinare che si fa contro la vita di un altro, nella mia commedia dell’uomo prudente, vi doveva essere lo stesso riflesso, e pure si è recitata, ed è stampata» (Mantovani. C. G. e il Tea. di S. Luca. Milano, 1885, p. 80).
«Un piccolo capolavoro d’eloquenza» sembra al Pascolato (C. G. Avvocato. Nuova Antologia, 15 XII 1883, p. 645) il discorso di Pantalone davanti al giudice, e anche da questo egli arguisce che il commediografo dovett’essere un efficacissimo difensore criminale. Narra lo stesso G. che compose l’U. p. a Pisa, mentre era affacendato in cause penali, e che la favola aveva qualche base reale (Mem. l. c).
Benchè povero d’invenzione e d’esecuzione, anche questo lavoro fruì dell’immensa popolarità che il G. godette in tutta Europa fra il sesto e il nono decennio del sec. XVIII. Del Nostro allora si traduceva a occhi chiusi in tutte le lingue. L’U. p. fu tradotto in tedesco, spagnuolo e portoghese.
Il senatore Andrea Querini, della contrada di S. M. Formosa, nacque da Zuane, Proc, e da Chiara Tron ai 23 sett. 1710, sposò nel 1732 Elena Mocenigo e fu fratello del sen. Polo, di Francesco ecclesiastico e di Cecilia (sposa nel ’42 a Marin Zorzi). I fasti dei patrizi Querini canta il Goldoni nel suo poemetto in ottave Le tre sorelle (Padova, 1765), per le nozze di Pisana, figlia d’Andrea, con Agostino Garzoni. Resterebbe del G. al Q., se autentica, anche una letterina da Firenze, in data 24 VI 1753 (Urbani, Lettere di C. G. Ven. 1880, p. 77).
E. M.
Questa commedia fu stampata la prima volta nel I t. (1750) dell’ed. Bettinelli di Venezia, subito dopo i Due gemelli veneziani e fu rist. a Bologna (Pisani). Nel 1753 uscì a Firenze, nel t. V della ed. Paperini; e quindi a Pesaro (Gavelli, V. ’54), a Napoli (Pellecchia, ’54, a Torino (Fantino-Olzati, VII. ’56). A Venezia fu stamp. di nuovo nel 1771 dal Savioli (t. VIII), circa il ’75 dal Pasquali (t. XIV), nel ’90 dallo Zatta (cl. 2.a, t. 11). nel ’96 dal Garbo (t. XII). Taccio le edd. Guibert-Orgeas (Torino), Bonsignori (Lucca), Masi (Livorno) e altre ancora. La presente rist. fu compiuta sul testo del Pasquali, posto a diligente confronto con le edd. che precedettero e seguirono: la data della recita, ch’è nell'intestazione, si legge nell’ed. Paperini. Valgono le osserv. già fatte per l’Uomo di m., I, 238.